martedì 28 aprile 2009

Due giorni a bordo


Era da un po’ che PatuPatu non riceveva che visite frettolose, dedicate unicamente a piccoli lavori di manutenzione. E’ stato molto piacevole, quindi, tornare a bordo il 25 aprile, complice il meteo. Erano previsti, infatti, un sabato di sole e con poco vento e una domenica molto nuvolosa, con più vento. Un’occasione da non perdere, tanto più che Paolo (13 anni) aveva chiesto di passare la notte a bordo, con qualche coetaneo, e di andare a pesca.

Così, dopo una breve pausa per comprare un paio di canne da bolentino, alle 1300 di sabato, eravamo a Fiumara. A bordo, finalmente. Simonetta, Cristina (9 anni), Paolo e Filippo (13 anni) e io.

Le previsioni si erano almeno in parte realizzate: il cielo era pulito, infatti, ma il vento invece di essere sugli 8 nodi era almeno sui 15, con – appena fuori del Tevere - onde abbastanza alte e qualche crestina.

Niente bolentino, quindi, ma una traina per gioco, mentre la barca filava tra 6 e i 7 nodi, secondo l’andatura. Al rientro è tempo per Simonetta e Cristina di tornare a Roma. Paolo e Filippo iniziano a dedicarsi alla pesca e io intanto cucino.

Mangiamo in pozzetto. Il sole sta calando, ma c’è ancora un po’ di luce e, nonostante il vento, si sta bene. Poi, ancora un po’ di pesca, qualche gioco da tavolo e giù in cuccetta. Il vento è sceso e nel silenzio di Fiumara – rotto solo una volta da un battello che passa veloce, con musica assordante a bordo – si sentono le storie e le chiacchiere scherzose di Paolo e Filippo, che - nella cabina di prua - isolati in modo assai relativo, sembrano aver dimenticato la presenza di un adulto in barca.

Anch’io mi addormento in fretta, dopo aver letto un racconto (che non mi piace molto). Mi sveglio che ormai è chiaro, per il rumore delle sartie e delle drizze. Dopo una notte di calma piatta anche il vento si è rialzato. Quando apro il tambuccio, il cielo è coperto di nuvole nere e sta piovendo un po’. I ragazzi dormono, ma quando si svegliano il tempo è ancora assai poco invitante.

Decidiamo di aspettare. Intanto loro – con incredibile e imprevista buona volontà – lavano i piatti. Io ne approfitto per sistemare un po’ la cabina e per andare a curiosare in banchina.

A poche decine di metri, c’è un albero di legno che spunta dalla superficie del fiume, di fianco c’è una grossa gru rovesciata. Sotto, purtroppo, una barca a vela d’epoca: sembra fosse una barca pesante 16 tonnellate, nell’alarla, la gru era stata sistemata male e la banchina sottostante aveva ceduto. Un brutto spettacolo. E forse una tragedia per i proprietari della barca, che – secondo le voci di banchina –avrebbero venduto tutto per farne la propria casa.

Intanto, il cielo si è fatto un po’ più chiaro. Il vento c’è ancora (anzi, sta diventando più intenso, ma vista la direzione non sembra creare onde all’ingresso nel fiume). Decidiamo di uscire. Con soltanto il fiocco e con la mezza idea di restare sul fiume, nel caso vento e mare si dimostrino troppo impegnativi.

Filippo è al timone. Io gli sto accanto. Paolo è ai winch. La barca fila veloce con il vento al traverso: senza onda, nel fiume, il GPS segna 7,5 nodi e a volte accelera ulteriormente.

Per uscire da Fiumara, ora si deve passare tra due mede. Sicuramente consentono di rientrare anche la notte in modo sicuro. Tuttavia, con vento e onde, non è troppo tranquillizzante trovare due ostacoli al centro del fiume, soprattutto per noi, che peschiamo relativamente poco e che - quindi - trovavamo un elemento di sicurezza proprio nella sua larghezza. Mi avvicino a Filippo, ma la barca procede dritta e tranquilla e ben presto inizia a tagliare le onde formate e a coprirci di schizzi.

Per i ragazzi è ancora più divertente di quanto non fosse stato il pomeriggio precedente. Si sentono in un mare burrascoso. Tanto più che all’orizzonte non si vede nessun’altra barca. Il piacere dura un paio d’ore. Poi, vedendo che il vento continua a intensificarsi e che anche le onde crescono, penso sia meglio tornare. E’ scirocco: l’onda – ormai sempre più formata - prende di traverso chi entra nel fiume.

In realtà, anche il nuovo passaggio tra le mede è tranquillo. Appena passate, l’onda si abbassa. Continuamo a vela e solo dopo un po’, quando il fiume si stringe e ci costringe a una bolina impossibile col solo fiocco, accendiamo il motore per tornare all’ormeggio.

giovedì 23 aprile 2009

Correnti

Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani il libro di Erik Orsenna, Ritratto della Corrente del Golfo (Ponte alle Grazie, Firenze).

Non è un saggio, non è un manuale, non è neanche un libro di divulgazione scientifica. Non è neanche un romanzo, ma si legge come tale.

L’autore, affascinato dalle correnti marine e in particolare dalla corrente del Golfo, conduce il lettore in un lungo viaggio alla scoperta del grande mondo che attorno alle correnti si muove. Un mondo che è fatto di naviganti, studiosi, centri di ricerca, fenomeni fisici, animali, luoghi geografici, racconti e storie.

Il percorso di Orsenna inizia in Bretagna – raccontando del clima mite che si trova ai margini della corrente e poi girando attorno al pianeta come fanno le correnti stesse, arriva - dopo aver raccontato del Nautilus del Capitano Nemo, dell’avventura dei merluzzi, della scozia raccontata da Larssen, del Wood Hole Institute e del Club des argonautes, del Maelstrom e delle navigazioni alle alte latitudini – alle vie dei canti degli aborigeni australiani.

Così, pian piano, si scopre che dietro la ricerca sulle correnti si trova la ricerca sull’irrequietezza.

mercoledì 22 aprile 2009

STORIE FANTASTICHE DEL DELTA DEL NIGER

Mentre si celebrava il natale di Roma con spettacoli e manifestazioni più adatte alla festa del patrono di un paesetto di provincia che a quelle di una capitale europea, nella stessa città, in un luogo molto evocativo - l’Antico mercato del pesce degli Ebrei, proprio sotto il Campidoglio, a pochi metri dal Circo Massimo - si svolgeva lo spettacolo dal fascinoso titolo “Storie fantastiche del Delta del Niger”.

Una produzione della Fondazione Alda Fendi, diretta da Raffaele Curi, con Lino Capolicchio, Anna Clementi, Fabrizio Traversa, Kayije', Patricio Akkary, Zakari Affouda, Raffaele De Vita, Eleonora Donati e – soprattutto – con la cantante del Benin Angelique Kidjo.

Tuttavia, né il titolo, né la voce di Angelique Kidjo, né la capacità degli attori e neanche la sofisticata messa in scena e le buone intenzioni dell’autore sono stati sufficienti a superare il velo del senso comune che nasconde la complessità africana agli occhi europei.

Di “storie fantastiche del Delta del Niger”, cioè della ricchezza culturale che si è prodotta nei secoli intorno a uno dei più grandi fiumi del mondo, che attraversa la terra di popoli diversissimi (Tuareg, Peul, Kanouri, Hausa, Ibo, Dogon, Yoruba – solo per citarne alcuni), nella rappresentazione non c’è nessuna traccia.

Ci sono invece i corpi degli africani (esposti come statue immobili e silenziose nella platea in mezzo al pubblico, o a rappresentare il fatto che anche gli africani sono uomini in sovrapposizione con un disegno di Leonardo da Vinci) a cui è consentito di prendere voce soltanto nelle canzoni di Angelique Kidjo.

E poi ci sono le voci degli europei: quella di Re Lear; quella dello scrittore J.M.G. Le Clézio, che parla del fascino fisico, emotivo e magico dell’Africa e del suo essere preda dell’Europa; quelle delle statistiche e dei dati sulle malattie, le guerre e le migrazioni. E poi ci sono la musica di John Cage, i poliritmi dei tamburi e della Kora, le immagini proiettate: animali selvaggi, paesaggi, soldati, parole in lingue diverse, passaporti (di un solo paese, la Nigeria), teste di sculture yoruba; e le figure mute degli attori africani.

Nonostante il titolo, ancora una volta sembra che l’Africa non possa essere raccontata se non dagli Europei – che ne subiscono il fascino, rappresentandola di volta in volta come paradiso o come un inferno, ma in ogni caso riducendola alla sola dimensione estetica - e che alla sua gente non venga riconosciuta alcuna propria capacità di parlare, di raccontare, di rappresentare o di criticare la realtà.

mercoledì 15 aprile 2009

L’avventura di Gambalunga

Gambalunga ora è a La Graciosa, nelle isole Canarie, in attesa del suo equipaggio. Il suo equipaggio, invece, è tornato per un po’ in Italia, ma è quasi pronto a ripartire.

L’avventura è iniziata qualche mese fa: una barca vecchiotta per i canoni attuali, ma che tiene bene il mare ed è ben attrezzata; una famiglia di due adulti – Mario e Fabiola - e due bambine, che al mare si trova a casa sua; la decisione di prendere un periodo di pausa – un semestre sabbatico – e di partire. Sapendo che, se non si decide di partire o che se si aspetta di “essere pronti”, alla fine, non si parte mai.

Ho il sospetto che l’idea di partire all’armatore sia venuta molto tempo prima. Ancora prima di avere Gambalunga. E ho anche il sospetto che l’idea di partire abbia influito sulla scelta di questa barca. “Gambalunga”, infatti è una barca di 39 piedi, con pozzetto centrale, armata a cutter. E’ stata progettata da Sciomachen nel 1981, con il nome Scaramouche, come un ketch. Nei fatti, penso che quasi tutti gli Scaramouche siano usciti dal cantiere con l’armo a sloop o a cutter.

E’ una barca da crociera. Molto spaziosa sia sopra sia sottocoperta, con il bordo libero alto sull’acqua, ma con una carena filante e una deriva non troppo profonda (il pescaggio è di 180 cm). Un motore abbastanza grande rispetto alle dimensioni totali della barca, ma non tale da far pensare a un motorsailer (45 hp). Guardandola si vede una barca ideale per chi voglia viaggiare.

Ho conosciuto “Gambalunga” a Genova, poco dopo il natale di un paio di anni fa. Io ero su un pontile del portovecchio mentre loro stavano ormeggiando e prendendo la loro cima avevo notato che era proprio come la barca che stavo immaginando di comprare.. due battute ed ero a bordo, riconoscendo ed essendo riconosciuto da Mario F. – armatore e skipper. A bordo c’era anche il suo equipaggio e l’occorrente per scendere a terra: una carrozzina e una biciclettina con le rotelle.

La vera e propria decisione di partire Mario F e la sua compagna Fabiola (Fa) l’hanno presa invece pochi mesi fa. Sarà stato ottobre o l’inizio di novembre quando una e-mail di Mario a VeLista ha attirato l’attenzione generale, con l’annuncio dell’intenzione di partire all’inizio di gennaio per i Caraibi, con l’intenzione di ritornare durante l’estate. Una visita veloce al di là dell’Oceano, giusto per approfittare di una finestra di tempo aperta in quello della vita quotidiana e professionale.

In due mesi la barca è stata dotata di alcune (poche) nuove attrezzature ritenute da Mario necessarie ad attraversare l’oceano (un timone a vento, un generatore “aerogen” e così via). Il 30 dicembre, puntuale, Gambalunga ha mollato gli ormeggi e ha lasciato il porto di Alassio diretta verso Occidente, affrontando un vento forte di prua.

Come previsto, il viaggio fino a Gibilterra non è stato facile: Gambalunga ha dovuto affrontare diverse perturbazioni che l’hanno costretta a tappe più brevi e a permanenze più lunghe nei porti toccati.

Non è stato tempo perso. Le pause hanno trasformato i trasferimenti in un viaggio, con scoperte, incontri e avventure.

Quando la costa spagnola finalmente è stata lasciata il vento ha spinto Gambalunga fino alle Isole Canarie. Il 14 febbraio, dopo una notte burrascosa che ha spinto la barca a superare i 10 nodi, Gambalunga è nel porto de La Graciosa.

martedì 7 aprile 2009

OT

Questo post non è politically correct.
Ieri c'è stato un terremoto di entità media, ma molto dannoso in Abruzzo: molti morti, molte abitazioni inagibili, molti edifici pubblici e monumenti distrutti o con gravi danni. A differenza di quanto è accaduto in Irpinia circa 30 anni fa ora i meccanismi della protezione civile sembrano aver funzionato.
Sembra invece che sia cambiato poco per quanto riguarda la vulnerabilità del territorio e dell'edificato: nonostante la presenza di regole e la disponibilità di tecnologie, si continua a costruire, a restaurare, a ristrutturare, senza tenerne minimamente conto, sotto gli occhi di una pubblica amministrazione spesso assente.
Di fronte a questo, ora si chiama all'emergenza e all'unità nazionale, con il consenso unanime, e si continua una politica che è sostanzialmente fatta di dichiarazioni e di propaganda. Non si decidono stanziamenti (visto che i 30 milioni del fondo della Protezione civile già sono stati stanziati in passato), ma si dichiara che tra 24 mesi nuove città saranno pronte. In attesa di un nuovo sisma, che nasconda la mancanza di una effettiva politica di gestione delle situazioni di crisi economica, sociale e ambientale del nostro paese.