martedì 9 dicembre 2008

Pirati

“Somalia: pirateria, nasce comitato direttivo per coordinare attacchi” è il titolo di due notizie pubblicate sul sito della rivista “Internazionale” (www.internazionale.it). La stessa rivista la scorsa settimana aveva dedicato un ampio servizio alla pirateria nel Golfo Persico, riproponendo per il pubblico italiano anche un reportage dalle coste somale.

La notizia della creazione di un coordinamento tra i diversi gruppi che praticano la pirateria sulle coste somale), così come i reportage, mostrano un fenomeno con alcune specificità, che lo rendono piuttosto diverso da quello della pirateria praticata in estremo oriente e su cui si sofferma il giornalista americano William Langewiesche nel suo “The Outlaw Sea: A world of Freedom, Chaos and Crime”.

La pirateria in Somalia sembrerebbe infatti un fenomeno nuovo, generato dall’interazione di alcuni processi. Lo sfruttamento dei mari somali dalle flotte di pescherecci di altri paesi, con un conseguente impoverimento dei pescatori locali, e il venir meno – successivamente all’invasione da parte delle truppe dell’Etiopia - delle forme di controllo del territorio e di costruzione di una nuova legalità che si erano costituite attraverso la formazione delle “Corti islamiche” in Somalia, da un lato.

Dall’altro, la presenza di una pluralità di interessi che interagiscono creando effetti inattesi:

- businessmen somali che finanziano la pirateria dalle capitali di tutto il mondo;
- pescatori locali che offrono la manodopera;
- armatori che pagano riscatti, ma che continuano ad utilizzare le stesse rotte;
- grandi agenzie della sicurezza (o gruppi di mercenari, che dir si voglia, come la “Blackwater”) che offrono i loro servizi;
- assicurazioni che alzano le tariffe;
- marine militari dei paesi occidentali che assistono in modo quasi indifferente (soltanto di recente sono state condotte azioni contro le imbarcazioni pirata) ma che mostrano la loro forza, non è ben chiaro a chi;
- villaggi costieri che grazie alla pirateria trovano una ricchezza mai avuta prima…

Sospetto che sia difficile sconfiggere questa pirateria sul mare e dubito molto che soluzioni efficaci possano essere di tipo militare. Ma, anche se inefficace, questa rotta è sicuramente la più appariscente e la più semplice da attuare.

3 commenti:

Pergus ha detto...

Commentando un mio post sull'argomento mi avevi accennato alla complessità del problema anticipandomi chirimenti. Ero al corrente di qeusti elementi, credo però che, oltre ad un interevento strutturale sulla situazione economica di quei paesi (auspicabile ma difficilmente realizzabile)la soluzione sta nei convogli scortati. So che ci stanno pensando e qualche unità già lo fa.

gianfrancesco costantini ha detto...

I convogli scortati sono una soluzione, anche se non strutturale. Penso che una questione sia "come" scortare: le navi militari europee e americane sono probabilmente troppo grosse per contrastare azioni svolte con barche piccole e veloci (le fotografie mostrano tutte barche sui 6 - 7 metri e motori fuoribordo relativamente piccoli) e quindi agiscono soprattutto con gli elicotteri.
Su Bolina c'era un racconto su un convoglio di barche a vela per attraversare l'Oceano indiano, che aveva funzionato.
Quanto alle soluzioni strutturali, penso che non siano tanto economiche, quanto politiche: la Somalia ha un'economia che nonostante il conflitto ha continuato a funzionare per 20 anni. La stessa pirateria è una modalità di azione economica che richiede l'investimento di capitali. La vera questione è il controllo del territorio e la ricostruzione di una qualche forma di legalità: mentre in Indonesia i pirati si nascondono tra le migliaia di isolette, in Somalia non si nascondono affatto, anche perchè la costa non offrirebbe nascondigli.
Interventi come quelli USA non aiutano la ricostruzione di strutture di governo, così come non lo fa il mancato riconoscimento internazionale del Somaliland.

Pergus ha detto...

Dobbiamo trovare una sera per farci una pizza e chiacchierare, proponi un giorno per me va bene quasi sempre