giovedì 30 ottobre 2008

Cosa succede in Italia?

Questo post è OT rispetto al blog. Ma non se ne può fare a meno. Cosa sta succedendo in Italia?
Ieri il senato ha approvato il decreto proposto dal Ministro della pubblica istruzione MariaStella Gelmini, senza tener minimamente conto del fatto che tale decreto fosse stato contestato da tutti i soggetti coinvolti nel sistema dell'istruzione in Italia. Senza eccezione. Non c'è un solo studioso di educazione che abbia considerato il decreto sensato! Non c'è nessuna bibliografia e nessuna ricerca sulla base della quale si siano definite le modifiche previste dal decreto. Ma è stato approvato così com'era (anzi un po' peggiorato con l'emendamento Cota, anch'esso senza nessuna base di conoscenza).
E' stato approvato perchè il governo aveva già deciso e il parlamento sembra ormai avere solo il compito di ratificare!
Ma non basta. Di fronte al Senato, in Piazza Navona gli studenti che manifestavano contro l'approvazione sono stati attaccati da un gruppo di neofascisti. Il Corriere della Sera ha intitolato "Rissa", ma i testimoni hanno visto entrare un camion - oltrepassando le barriere di polizia e carabinieri che chiudevano la piazza - dal quale poi sono stati scaricati bastoni e spranghe. La polizia doveva avere gli occhi chiusi, visto che ha lasciato che un gruppo assai ben organizzato si schierasse e poi caricasse gli studenti. Oppure si è trattato di connivenza?

lunedì 27 ottobre 2008

Barche che non vedremo



Nel numero del novembre 2008 di “Voile set Voiliers”, oltre a un servizio speciale sulla regata Vendée Globe 2008 – 2009 (con un’accurata e terrificante descrizione delle barche in gara), c’è una rassegna su alcune novità che saranno presentate nel prossimo salone della nautica di Parigi, e che per la maggior parte (quasi ovviamente) non sono state presentate a Genova.

Ci sono catamarani e barchette da spiaggia (Hobie Cat Pearl, Twiner 2,80), microscopiche barche da crociera (Souriceau, 4,75 m, www.lotarie.com), barche sportive e sportivissime (Courlis-Raid, K650, Class 2 M, Alphena One; Héol 7.4, www.heolsailing.com; Dingo 2, www.mareehaute.fr), multiscafi (Tricat 23,5, www.trimarans-tricat.com) e barche di taglia media (Southely 32, www.ouestyachting.com; J97; JPK 998, www.jpk.fr ) e medio grande (Doufour 395; XC 45; First 40, Elan 450, ecc.).

A differenza che nelle riviste italiane non ci sono barche grandi o grandissime e neanche barche da nababbi. Unica, parziale, eccezione, è proprio una barchetta di costruzione italiana: il Wally Nano: 11,30 m fuori tutto, con un peso di 2300 Kg e due cuccette; venduto alla modica cifra di 215.000 Euro!

Con una cifra pressappoco uguale si può però comprare anche una delle versioni del catamarano Fusion 40, che offre uno spazio enorme, una buona velocità e una buona tenuta di mare. E’ una barca che non vedremo in Italia, un po’ perché pur essendo una barca da crociera è spartano e sportivo, un po’ perché è un catamarano e anche un po’ perché ormai in Italia non si offrono più barche con livelli di allestimento diversi. Invece, il Fusion 40 si può comprare in kit diversi: da uno totalmente da assemblare a poco più di 100.000 euro, fino a uno completamente finito e attrezzato a 400.000 o più (www.fusion-med.com ).

C’è un’altra barca che non penso vedremo mai nei nostri saloni: il FanClass 32. Invece di avere la deriva basculante lateralmente secondo i dettami della moda per le grandi barche, questa – anche lei da crociera – ha l’albero che oscilla e che si può inclinare, mentre lo scafo resta piatto o quasi sull’acqua (www.voilers-cogito.fr).

martedì 21 ottobre 2008

Un nuovo coarmatore



Il coarmatore di PatuPatu, Franco, ha deciso di dare forfait.
Da un paio di anni si è accorto, infatti, di non riuscire ad andare in barca con la famiglia per più di qualche giorno e del fatto che il tempo che passa con PatuPatu è occupato soprattutto da attività di manutenzione.

Insomma, per Franco, essere il co-armatore di una barca è diventato un peso, invece che un piacere. Stiamo quindi cercando un nuovo co-armatore, che acquisisca la quota di Franco.

Una breve presentazione di Patu Patu si trova nel primo post di questo blog (http://patupatusailing.blogspot.com/2008/05/il-cat-33.html).

Trovare un coarmatore non è troppo semplice: dovrebbe essere una persona che ama la barca, tanto da dedicargli tempo e cure, ma che non ne sia geloso in modo troppo esclusivo; dovrebbe essere disposto ad avere un socio con i suoi difetti e non essere troppo certo di essere privo di difetti lui stesso; dovrebbe essere disposto a partecipare alla manutenzione (e magari avere una manualità migliore della mia); soprattutto, non dovrebbe pensare alla barca come a un oggetto da mostrare, quanto invece aver piacere nell'andarci e nell'andarci più spesso possibile.

A proposito di andarci, abbiamo ormai ripreso ad andare in barca quasi tutte le settimane. Per chi voglia, PatuPatu è disponibile.

martedì 7 ottobre 2008

Everglades






Le Everglades sono considerate normalmente paludi. In realtà non è così. Si tratta, piuttosto, di un flusso d’acqua che ha origine nel lago Okechobee e che scorre fino al Golfo del Messico.
Un vero e proprio fiume, in origine senza argini, ma poi limitato dalle opere di canalizzazione e di bonifica realizzate per rendere coltivabile e vivibile gran parte del territorio della Florida.
Ormai da qualche decennio esiste però la preoccupazione di ricostruire almeno parzialmente le condizioni originarie delle Everglades, anche per la ricchezza biologica che caratterizzava quest’area.
In uno spazio relativamente piccolo si trovano infatti numerosi ecosistemi, da quelli di mangrovie e di posidonie della Florida Bay, a quelli degli estuari, alle pinete agli “hardwood hammocks” (che costituiscono anche l’habitat del mogano che per un lungo periodo è stato una delle principali attrattive dei Florida Keys), dalle praterie immerse e ai “cypress system” (http://fl.biology.usgs.gov/Center_Publications/Fact_Sheets/everglades.pdf ).
Al centro dell’opera di ricostruzione c’è l’Everglades National Park, dove ci siamo diretti lasciando i Florida Keys.
Il parco ha tre entrate. La prima è lungo la US 41, il cosiddetto “Tamiami Trail” che da Miami porta a Naples, sul Golfo del Messico; la seconda è a Everglades City, una cittadina affacciata sul Golfo, da cui è separata soltanto da centinaia di isolette coperte dalle mangrovie e chiamate “Tenthousend islands”; la terza più a Sud, quasi nel punto più meridionale della Florida a nord dei Keys, in una località chiamata Flamingo. Da Flamingo si può navigare lungo la costa, tra le isole di mangrovie e di sabbia, o risalire i corsi d'acqua che vanno verso Nord-Est, fino al centro delle Everglades.

E’ proprio a Flamingo che andiamo una volta usciti da Key Largo, sotto le piogge torrenziali che accompagnano l’arrivo di Gustav appena un po’ più a ovest sul golfo.
L’ingresso si raggiunge dopo aver lasciato la strada principale, ma si rischia di perderci: noi ci siamo trovati di fronte al penitenziario della Florida, che è nel bel mezzo di uno dei posti più pieni di zanzare dove io sia mai stato. Dopo un po’ di ricerche comunque abbiamo raggiunto l’ingresso del parco. Da lì una strada di circa 20 miglia conduce fino al golfo del messico, a Flamingo, dove secondo le guide si dovrebbero trovare un visitor center, un motel, un campeggio e la possibilità di noleggiare barche e canoe.

Quando arriviamo, sempre sotto la pioggia, basta aprire per un secondo un finestrino per far entrare un nugolo di zanzare. Le persone che camminano sotto la pioggia indossano sotto il cappuccio delle giacche a vento dei cappucci-zanzariera che proteggono il volto e anche nel visitor center la maggior parte dei prodotti in vendita sono zanzariere e repellenti per le zanzare.

Un po’ sforacchiati, ci facciamo coraggio e scendiamo dalla macchina. Oltre che da qualche decina di punture siamo premiati dalla vista di tre coccodrilli americani, che placidamente nuotano nei canali e tra le mangrovie, a pochi metri dalle barche ormeggiate.
La ragazza che lavora nel visitor center ci informa che il motel non c’è più: l’uragano Andrew, oltre dieci anni fa, lo ha spazzato via e da allora non è stato ancora possibile ricostruirlo con i finanziamenti federali. Andare a dormire in tenda sarebbe possibile, ma certo con il vento e la pioggia che ci sono non sembra la scelta più opportuna.

In breve, dopo un primo assaggio delle Everglades torniamo indietro. Passiamo la notte in un motel sulla US1, il giorno dopo riproveremo.
Quando ci svegliamo il vento e la pioggia sono più intensi ancora. Le palme si piegano e ogni tanto perdono qualche ramo. Il piazzale di fronte alle palazzine del motel è spazzato dal vento e allagato da una decina di centimetri di acqua.

Dopo un’ora però la pioggia inizia a cadere con meno forza. Saliamo in macchina e andiamo, stavolta puntiamo al Tamiami Trail, costeggiando la riserva dove si trovano gli ultimi Seminole, decimati dopo una delle più violente "guerre indiane" e le rivolte della fine dell'800.

L’ingresso che si trova sulla US 41 è chiamato “Shark Valley”, non perché ci siano squali d’acqua dolce, ma perché ci passa lo “Shark River” che finisce nel Golfo. Lungo la strada il tempo migliora, le nuvole nere restano ma la pioggia smette e anche il vento.
Un po’ prima del parco inizia il territorio indiano della riserva Miccosuckee, che si trova ai suoi confini settentrionali. Per primo, appare l’enorme edificio del casinò gestito dalla tribù, poi iniziano a comparire a fianco alla strada i chioschi che offrono giri in airboat sulle Everglades, ai confini del parco.

Decidiamo di fare un giro anche noi, da un chiosco gestito direttamente dalla tribù indiana. Il giro dura 30 minuti, compresi 15 minuti di pausa in un villaggio indiano su Chickee (cioè su palafitte protette da una tettoia di erba), abbandonato, visto che siamo in bassa stagione.
Gli unici abitanti del villaggio sono tre o quattro alligatori che se ne stanno a poca distanza dai vialetti di passaggio tra una palafitta e l’altra. Cartelli informano che non si tratta di alligatori “addestrati”. Di conseguenza non bisogna cercare di avvicinarsi, né di nutrirli o di toccarli. In tutta l’area delle Everglades, questi cartelli sono molto frequenti, come se i visitatori abitualmente vedendo un alligatore provassero uno stimolo inarrestabile ad andare a toccargli la coda (ma forse è così).
15 minuti sull’airboat sono più che sufficienti. Scivolando sull’acqua, sull’erba e sulle ninfee, il marchingegno fa un rumore terribile, che i tappi nelle orecchie non riescono minimamente a fermare.
Il giro basta però a darci un’idea dell’ambiente: una larga distesa di acqua, all’interno della quale cresce un’erba lunga e rada – che ricorda un po’ la prateria - e dalla quale di tanto in tanto si innalzano “isolette” con alberi di diverso genere.
Una visione un po’ migliore delle Everglades ci aspetta nel parco. Prima però ci fermiamo a mangiare nel ristorante gestito dalla Tribù. Per non smentirsi, Paolo ordina la carne di alligatore. I piatti sono enormi, non si riesce a mangiar tutto. Usciamo dal ristorante, quindi, con una grossa doggy bag piena di bistecchine fritte di alligatore. Intanto il tempo si è rimesso al bello, anche se all’orizzonte le nuvole restano minacciose.
A “Shark Valley” c’è un percorso di una decina di km attraverso la prateria immersa, si può percorrere in bicicletta, a piedi o su una specie di autobus, accompagnati da un ranger. Visto il caldo, le nuvole e le zanzare che anche durante il giorno non danno tregua scegliamo la terza opzione. In due ore vediamo ancora un numero infinito di alligatori, di ogni dimensione (e impariamo che a Shark Valley non ci sono coccodrilli, ma solo alligatori; infatti, mentre i secondi vivono in acqua dolce i primi vivono in acque salmastre e quindi si trovano solo sulla costa), vediamo molti aironi di diverso tipo e i diversi tipi di ambiente. Nonostante la grandezza (due volte il Lussemburgo) il parco è minacciato da erbe infestanti che sostenute dalle acque ricche di nutrienti drenate dai terreni agricoli, tendono via via a sostituire le piante originali delle Everglades, che richiedono acque molto più pulite. Non si tratta soltanto di un problema estetico, mentre le piante tradizionali offrono l’ambiente necessario alla crescita degli animali tipici dell’area, e in particolare di alcuni pesci, le piante e le alghe infestanti rubano loro l’ossigeno dall’acqua e ne comportano la progressiva eliminazione.
Finita la visita è ora di riprendere il Tamiami Trail fino a Everglades City e magari un po’ oltre, fino al villaggio di Chokoloskee, che da il nome alla baia delle diecimila isole. La stessa Everglades City, quando arriviamo, non ha proprio l’aspetto di una metropoli: alcune strade con case a uno o due piani abbastanza sparse, una o due chiese, un faro, un edificio pubblico. Dovunque, di fronte alle case, lungo le strade, lungo il fiume, barche. Chokoloskee è ancora meno urbana: casette, trailers e barche. Sulle rive della baia. Cerchiamo invano un posto dove mangiare e dormire. Non c’è e le poche persone che abitano il luogo sono in chiesa.
Finalmente troviamo un pescatore che riordina la sua barca, che ci consiglia di tornare a Everglades City. E di corsa. In questo periodo c’è soltanto un albergo aperto e non è detto che abbia posto.
Torniamo indietro, al Captain’s Table Motel il posto c’è (anche se è l’ultima stanza disponibile). A fianco c’è anche l’unico ristorante aperto, all’interno del vecchio magazzino ferroviario.
Quando entriamo nel ristorante per gli standard locali è già molto tardi, ma veniamo accolti con gentilezza. Oltre a noi ci sono un po’ di famiglie del luogo e poi gruppetti di uomini, con gli stivali e i berretti da pescatore, o con la tuta mimetica e l’attrezzatura da cacciatore.
Everglades City non è soltanto la sede di uno degli ingressi al parco nazionale, è anche – forse soprattutto – il luogo da cui molti partono per battute di caccia al cervo o di pesca nelle acque delle Ten thousend Island.
Acque pescose, come dimostra la sorpresa del giorno dopo: un gruppo di delfini che caccia e che gioca al confine tra le acque “interne” e quelle dell’oceano. Un ranger spiega che spesso non si riescono a vedere, ma non si allontanano mai troppo: le acque sono troppo ricche di pesce per migrare altrove. Neanche stavolta, invece, riusciamo a vedere i lamantini che popolano queste acque, protetti dalle isole e dalle mangrovie.
Everglades City non offre molto più di questo. Oltre all’albergo, al ristorante e all’ingresso del parco, ci sono soltanto un supermercato, un distributore di benzina e un negozio di attrezzature per la pesca. Tutti gli altri esercizi sono chiusi. A noi però va bene così, tanto che decidiamo di non tornare a Miami, ma di restare lì anche l’ultima notte negli Stati Uniti.

La mattina dopo, con calma, riprendiamo la macchina e percorriamo tutto il Tamiami Trail fino alle strade di Little Havana, poi giriamo e ci dirigiamo all’aeroporto. Il viaggio è finito.

lunedì 6 ottobre 2008

A che servono le barche a vela?

In questi giorni forse ci si dovrebbe chiedere a che servono le barche a vela.
Non tanto perché è in corso il Salone di Genova, dal quale forse si ricaverebbero risposte tipo: a niente, a farle vedere, a far lavorare alcuni cantieri…
Piuttosto questa domanda mi è venuta in mente sentendo che qualche giorno fa un gruppo di emigranti “clandestini” è arrivato in Italia a bordo di una barca a vela e poi, nei giorni seguenti, ascoltando gli esponenti del governo in carica in Italia, che a più riprese hanno affermato la loro autonomia dal parlamento e persino dall’opinione pubblica, in nome del principio secondo il quale "il timoniere non deve essere disturbato".
Mi è tornata alla mente, infatti, una chiacchierata di qualche anno fa, sulla spiaggia, con la moglie molto anziana di un politico italiano che fu ucciso negli anni ’70. La signora consigliava di insegnare ai bambini a sciare e a condurre una barca a vela. Non perché vela e sci siano degli sport di qualche interesse, più semplicemente e più prosaicamente perché la vela e gli sci i mezzi con cui si può fuggire dall’Italia, se ce n’è bisogno.

mercoledì 1 ottobre 2008

Alabama Jack


Ci sono due strade possibili per tornare sul continente da Key Largo: la prima è la US1, la seconda è una strada più piccola che attraversa il Card Sound (penso la “vecchia US1), il piccolo stretto che divide il Nord dell’isola dalla terra ferma. Per iniziare il nostro ritorno abbiamo scelto questa seconda strada, anche un po’ con la speranza di vedere ciò che rimane dei primi insediamenti su Key Largo.
Di questi insediamenti, che datano al principio del XIX secolo, non abbiamo trovato traccia. Abbiamo però trovato il Little Card Sound, che vale la pena di essere visto, e soprattutto abbiamo trovato “Alabama Jack”, un ristorante su un barcone subito dopo il ponte che attraversa lo stretto.
Ad attirare l’attenzione, mentre ci si avvicina alla bassa costruzione sono le Harley Davidson e le macchine parcheggiate, che fanno pensare non si tratti di un posto qualsiasi. E’ un locale affollato, ma che conserva un’aria un po’ da frontiera americana. Ne ho trovato traccia anche in una vecchia guida intitolata “Cruising Guide to the Florida Keys”, pubblicata nel 1979. L'autore - Capt. Frank Papy - ne parla come di un luogo il quale vale la pena di fare una deviazione nella propria rotta (The atmosphere and local color are worth a detour).
E’ proprio quello che abbiamo fatto anche noi.
Ci siamo trovati di fronte un bancone affollato, sovrastato da un grande marlin, e una sala affacciata sul canale, con una barca ormeggiata a fianco ai tavoli e un'altra appesa a due gruette.
All’altro lato della sala c’è un piccolo palco con un complesso di Country&Western intento a suonare. Qualcuno balla.
La birra più bevuta è la Key West Ale, aromatizzata con il lime. La prendiamo anche noi, per accompagnare panini di blackened mahimahi e granchi fritti. Intanto, nonostante piova in modo intenso dalla mattina, sul canale passano piccole barche in alluminio, trainando lunghe lenze.
Vorremmo restare, a guardare il canale, ascoltare la musica, osservare gli altri clienti (pochi estranei, molti del luogo) e bere birra guardando chi passa nel canale tra le mangrovie. I bambini però hanno meno interesse per queste cose e, soprattutto, hanno fretta di arrivare nelle Everglades. Così ripartiamo, sotto la pioggia sempre più forte.