mercoledì 30 settembre 2009

600 miglia (due: Panarea, Salina, Lipari)



Da Stromboli a Panarea sono solo poche miglia. Peccato che si facciano anche queste in gran parte a motore, in mezzo a un traffico di motoscafi, aliscafi e barconi che portano i turisti da un’isola all’altra. In ogni caso, la distanza ci spinge a fermarci per un po’ vicino a uno dei gruppi di scogli a NE di Panarea: Lisca bianca. Ancoriamo su 13 metri di fondo, in una piccola rada a sud dello scoglio, abbastanza lontani dalla folla che è a fare il bagno sulla costa Nord Ovest vicino al faraglione.

Non è un bagno molto lungo. C’è risacca e l’ancoraggio è scomodo. In compenso è salita un po’ di brezza, così continuiamo a vela fino a Cala Milazzese. Come era immaginabile è affollatissima. Siamo costretti ad ammainare le vele e ad accendere il motore, ma passando tra le altre barche riusciamo comunque a trovare un posticino su un fondo di sabbia e 3 metri di profondità. La maggior parte delle barche nella rada sono più grandi della nostra. Ancora una volta l’essere piccoli si dimostra un vantaggio.

Montiamo il tendalino e trascorriamo il pomeriggio inframezzando le letture (io un libro portoghese che racconta di Sao Tomé e Prince; Simonetta, una serie di racconti su brutti episodi nella cultura Pop; i bambini i loro libri e qualche giornalino di enigmistica) a con qualche tuffo. E’ piuttosto tardi quando le barche a motore iniziano ad andarsene, non senza disturbare almeno un’ultima volta riscaldando i motori per una mezz’ora o lasciando l’ormeggio a velocità sostenuta: probabilmente molti non si accorgono del fatto che producono onde. Oppure è diventata una pratica comune quella di non prestare la minima attenzione al disturbo che si può produrre.

Non scendiamo a terra neanche la sera. Ormai sono rimaste soltanto poche barche a vela e si sta benissimo e nel silenzio.

La mattina ci svegliamo presto. Ancora non ci sono motoscafi. Montiamo il fuoribordo sul gommoncino e andiamo a fare un giro: basta girare attorno a uno scoglio per arrivare in una delle cale più fotografate delle Eolie: Cala Junco. E’ talmente bella che il motorino viene spento e continuiamo a remi. L’ormeggio nella cala è proibito, se non in caso di evacuazione dell’isola. Nonostante questo, un grosso motoscafo è ancorato a qualche metro dalla spiaggia. Non ce ne curiamo e continuiamo il nostro giro, entrando nelle piccole grotte che si aprono nelle pareti di roccia e nuotando dietro gli scogli che chiudono delle vere e proprie piscine.

E’ quasi pomeriggio quando torniamo in barca e issiamo l’ancora e apriamo le vele.

La nostra prossima meta è Salina: ormai da qualche giorno siamo in rada, l’acqua per lavarsi inizia ad esser poca e così anche il cibo fresco. A Salina forse si potrebbe pensare di trovare un ormeggio in transito. Quando arriviamo ci accorgiamo che non è così: le banchine appaiono quasi tutte vuote, ma appena accenniamo ad avvicinarci ci gridano – non proprio in modo cortese - che sono tutte occupate. Cerchiamo un ancoraggio fuori del porto, ma invano: tutte le aree con un fondale ragionevolmente profondo sono occupate e non ci va di ormeggiare troppo vicini ad altre barche.

Riprendiamo il largo e a vela ci dirigiamo verso Lipari, che è solo a poche miglia.

La travesata è tranquilla: sembra ci siano poche barche.
Anche stavolta non è così. Semplicemente le barche sono tutte sulla costa orientale e da Ovest non si vedono. Quando passiamo il capo ce ne accorgiamo. E’ evidente che anche qui non sarà facile trovare un ormeggio. Ci proviamo comunque, ma sia il porto, sia tutti i pontili galleggianti sono occupati. Di fronte ai due distributori di carburante che sono sulla costa la folla è ancora maggiore. Un po’ scuri in volto, rinunciamo. Proprio mentre stiamo allontanandoci da uno dei pontili un ragazzino ci grida che forse qualche posto si può trovare vicino Marina Corta, dall’altra parte del monastero.

Proviamo. Intanto teniamo d’occhio lo scandaglio: i fondali restano sempre sopra i 10 metri, molto spesso sopra i 20. Troppi per le nostre schiene. Marina corta è composta da una specie di T, nello spazio a Nord – praticamente nel centro della città – sono ormeggiati pescherecci, in quello a Sud c’è qualche barca da diporto: ma sembrano di quelle stanziali o di quelle utilizzate per portare i turisti. Ci avviciniamo comunque alla ricerca di qualcuno che sia in grado di darci indicazioni. Apparentemente non c’è nessuno. Ma proprio mentre stiamo per allontanarci nuovamente un ragazzino ci insegue sul molo. Avrà meno di dieci anni, ma comunque riesce a farsi vedere e a chiamarci: c’è un posto per noi, ma dall’altra parte. Lentamente, con prudenza entriamo: non sappiamo quanto sia profondo, le barche ormeggiate sono per lo più gozzi e tutto è pieno di cime. I ragazzini sul molo ci dicono che possiamo stare lì. Costa solo 45 euro. Però, dobbiamo dare fondo alla nostra ancora nel centro del porto per poi arretrare fino alla banchina, tra un gommone e un gozzo.

Una volta ormeggiato i ragazzini ci dicono che non è proprio regolare restare lì, ma si può perché c’è posto. Certo se arriva la Guardia costiera si deve andar via. Intanto, loro continuano ad offrire posti alle barche che si avvicinano: un paio di ragazzini fanno da vedetta e una percentuale sulla “mancia” spetta a chi ha avvistato e chiamato la barca che accetta di ormeggiare.

In pochi minuti, i 45 euro della richiesta iniziale sono diventati 50, visto che non hanno da cambiare. Ma siamo ancora fortunati. Ai gommoni e ai motoscafi a fianco a noi ne chiedono altrettanti per rimanere un paio d’ore. Pagare i bambini invece di un ormeggiatore con il pontone galleggiante non mi dispiace, tanto più che siamo praticamente al centro del paese, affacciati su una piazza con due chiese medioevali e sotto il convento in cui è ospitato il Museo. Peccato, che dopo un po’ vediamo arrivare un ragazzo più grande, in motorino, che ritira dai bambini i soldi che hanno ottenuto da chi si è fermato.

A terra ci aspettano le granite del bar sul porto, poi la spesa (il supermercato che è sulla via principale consegna i prodotti in barca), poi una cena in un piccolo ristorante chiamato la Cambusa. E’ tutto molto buono: tonno, involtini di melanzane, pesce alla griglia, involtini alla messinese, persino il vino della casa. Ciò che è rimasto veramente impresso nelle nostre memorie però sono i cannoli, riempiti sul momento.

Un ormeggio tanto centrale non consente una grande privacy e non consente neanche di sottrarsi alla musica dei bar, che continua fino a notte fonda. La musica notturna non disturba però così tanto da non consentirci di visitare, quasi appena svegli, il museo. Sapevamo che era bello, ce ne avevano parlato in tanti. Ma si rivela comunque una sorpresa. Iniziamo visitando la chiesa, che ha all’interno un chiostro dell’XI secolo, poi continuiamo nelle sale, correndo - perché purtroppo sappiamo che dobbiamo al più presto tornare in barca e salpare – tra i resti di necropoli paleolitiche e neolitiche, vasi greci, statuette romane, maschere ellenistiche e gioielli e ceramiche medio-evali: la storia del bacino Mediterraneo è lì racchiusa tra le mura di un monastero.

mercoledì 9 settembre 2009

600 miglia (uno: da Sapri a Stromboli)


Se dopo molto tempo torno a scrivere è per raccontare un po’ la navigazione di PatuPatu durante lo scorso agosto: più di 600 miglia, da Fiumicino a Sapri con un equipaggio e, poi, da Sapri a Cefalù e di nuovo a Fiumicino.

La navigazione di PatuPatu è iniziata alla fine di luglio, con il primo equipaggio formato da Sofia e Viola (le gemelle), Stefania e Franco. La loro è stata una navigazione tranquilla, con molte pause, molti bagni, la scoperta di qualche angolo di perfezione e di tranquillità in una costa normalmente molto affollata e persino l'incontro con un gruppo di delfini. Dopo una prima sosta ad Anzio, si sono fermati a Ponza e Ventotene, quindi hanno cercato invano di sostare Capri (ma il gran traffico li ha spinti alla fuga), hanno trovato una buona accoglienza nel porto di Amalfi e hanno continuano poi per Palinuro, per arrivare infine a Sapri.

Dal 4 agosto l’equipaggio è cambiato. A bordo sono arrivati Cristina (9 anni), Paolo (13), Simonetta e io che sto scrivendo. Dopo una cena a base di pesce e una notte tranquilla nel golfo di Sapri, PatuPatu si è diretta a Sud, costeggiando il sud della Campania e la costa calabra - di fronte alle spiagge e agli abusi edilizi di Maratea, Scalea, Praia a Mare e Diamante – per un po’ più di 35 miglia, fino al porto di Cetraro.

La giornata inizia quasi senza vento, costringendoci a navigare al motore, poi si alza un po’ di brezza, così nel pomeriggio possiamo finalmente ritrovare un po’ di silenzio e arrivare fino a Cetraro, con le sole vele. Ad accoglierci troviamo le banchine galleggianti della Lega Navale, poste proprio di fronte all’ingresso del porto, che è stato appena rinnovato.

C’è l’acqua e l’elettricità e (se lo si chiede) si può anche utilizzare un bagno, che però è lontano dalle banchine. La prima notte di ormeggio è gratuita, per la seconda paghiamo 45 Euro. In ogni caso si sta abbastanza comodi. Decidiamo quindi di restare un paio di notti, così da non forzare tutto l’equipaggio alla navigazione relativamente lunga che ci porterà a Stromboli.

La mattina quasi tutti vanno via, dopo aver approfittato della notte gratuita. Visto che noi invece rimaniamo, approfittiamo dello spazio deserto per sistemare il tender che con Franco sembra aver dato segni di non restare gonfio: tolgo completamente le 3 valvole e poi le rimonto, creando all’interno delle guarnizioni di silicone. Funziona. Nonostante i suoi ormai 21 anni di attività, per i successivi 25 giorni non abbiamo mai avuto nessuna necessità di rigonfiare il battellino. Il resto del tempo lo passiamo sulla spiaggia di sassolini, che degrada rapidamente a pochi metri da terra, e a completare la cambusa.

Fare cambusa inizia a dimostrarsi come un’attività particolarmente faticosa. Anche a Cetraro, come a Sapri e come quasi in tutti gli altri luoghi in cui ci siamo fermati, il porto è lontano dal paese e la navetta che dovrebbe collegarli è poco frequente e poco regolare nei suoi orari. La prima sera acconsentiamo a farci accompagnare dal gestore di un ristorante presso il porto fino a un supermercato: ci porta in un supermercato lontano, piccolo e abbastanza caro e non si accontenta dei 20 euro che gli diamo come mancia. Il giorno dopo decidiamo di fare da soli: a 20 minuti di cammino troviamo un grande centro commerciale, con prezzi bassi e un'ampia scelta.

La sera andiamo a dormire presto. La sveglia è stata messa intorno alle 5, così da avere tutto il tempo per attraversare il passaggio di 55 miglia che ci separa da Stromboli con tranquillità e avere la possibilità di trovare un buon ormeggio sull’isola, per noi sconosciuta, della quale tutti parlano come un luogo particolarmente difficile.

Anche stavolta il vento non ci accompagna per tutta la mattina, soltanto verso mezzogiorno si alza la brezza che ci consente di arrivare a vela a Stromboli. La navigazione è piacevole ed è resa più interessante dalla sagoma del cono vulcanico che diventa sempre più visibile e più grande. Non incontriamo nessun’altra barca, così come è avvenuto anche il giorno precedente.

A Stromboli non è difficile capire dove si può ormeggiare. Le altre barche in rada indicano i luoghi e l’ecoscandaglio mostra dove finalmente PatuPatu, che non dispone di chilometri di catena e che non ha neanche il verricello dell’ancora, può dar fondo all’ancora. Siamo fortunati, PatuPatu è piccola e questo ci consente di trovare facilmente un buon posto non lontano dalla spiaggia, su meno di 5 metri d’acqua. Pochi metri più lontani da terra e la profondità sarebbe aumentata rapidamente a 15, a 25 o addirittura a 50 metri.

Attorno a noi le barche sono ormeggiate alla ruota, soltanto qualcuno – un po’ più in là e con barche più grandi – ha steso un cavo fino a terra. Anche noi siamo un po’ tentati dal cavo, ma il fatto che l’ancora non si muova neanche tirando con il massimo dei giri del motore in retromarcia, e il fatto che non si sia neanche un po’ di vento (e sia anche prevista una situazione di bonaccia) ci dissuadono dal farlo. Alcuni vicini di ancoraggio, ci raccontano - poi - che in molti casi la Guardia Costiera ha multato chi – seguendo le indicazioni dei portolani – si è ancorato con le cime a terra.

La sabbia sulla spiaggia e nera e calda. E nera è anche quella del fondo. Ci sono alcuni massi, anche loro neri, e non ci sono pesci se non qualche sogliola (che pare anche lei nera) e qualche pesciolino (ovviamente nero). E’ uno strano ambiente per chi arrivi dal Tirreno centrale.

Nel pomeriggio, però, ormai completate le operazioni di ormeggio, lo sguardo di Simonetta all'orizzonte scorge delle strane ondine: è un branco di delfini che passa un po' al largo. Non è l'unico, dopo qualche minuto ne passa un'altro. Peccato che passino anche, quasi di continuo, aliscafi e barconi che sbarcano e imbarcano centinaia (migliaia) di turisti e producono onde che movimentano la vita di chi è all'ancora.

Intanto, intorno a noi, le barche sono diminuite: motoscafi e gommoni non ci sono quasi più. Restano invece le barche a vela.

La poca distanza dalla spiaggia ci consente anche di scendere a terra con il battellino senza bisogno di motore e senza timore. Il paese è apparentemente molto piccolo: una strada vicino all’approdo pubblico (l’unico luogo con illuminazione pubblica) e poi alcune strade che salgono verso l’alto, dove si trova una piazza con un belvedere e la chiesa. In realtà il paese è un po’ più grande: oltre la piazza continua fino all’approdo situato a nord dell’isola e anche un po’ oltre.

Il buio della notte aumenta il fascino dell’isola: permette di ammirare le stelle e di ascoltare i brontolii della terra, che accompagnano di tanto in tanto i lampi che si intravedono in cima al vulcano e che illuminano la nube di fumo che ne esce.