martedì 20 gennaio 2009

Martiri e nomadi. Che succede in Palestina

Forse questo post non doveva essere inviato qui ma su “solidmelts”. Non si parla del mare, anche se forse ci potrebbe spingere a ripensare al Mediterraneo e alla sua storia. Però non è un post che riguarda la “professione”, è un post che riguarda il modo in cui si guarda il mondo e per questo sta bene qui. Su PatuPatu.

Come si fa a vincere o a smettere una guerra in cui i morti vengono chiamati martiri? E come si fa a rinunciare a una terra donata da Dio? Come si riconosce il diritto all’uguaglianza degli uomini in stati fondati sull’appartenenza etnica? E come in stati moderni si possono recuperare le tradizioni di convivenza legate al nomadismo?

Quasi 1400 morti, una instabile tregua, i partiti più oltranzisti rafforzati sia in Israele sia nelle terre attribuite ai palestinesi. Proposte vecchie per il consolidamento della tregua e discussioni assurde - oziose o legate a interessi che sono altrove - su chi ha ragione e chi ha torto e su chi ha sparato per primo, in un conflitto iniziato quasi 100 anni fa, che non si è mai interrotto e nel quale il terrorismo è sempre stato uno degli strumenti principali, per tutti.

E’ un conflitto che dovrebbe farci pensare alle responsabilità europee. Al colonialismo inglese e francese, all’antisemitismo dell’Europa centrale, al nazismo al fascismo e alla pigra partecipazione dell’Italia alla storia del mondo intorno a lei. Ci dovrebbe spingere a riflettere sulle leadership, su come si sono sviluppate e come si possono cambiare. Ci dovrebbe far pensare anche al diritto, alle sue fonti e ai suoi limiti. Alle società che sono oltre lo stato e a quelle che non hanno più un territorio definito. E dovrebbe farci pensare a che vuol dire diaspora e a come la diaspora (le diaspore)può influire su quanto accade.

Ci dovrebbe far pensare ai processi di identificazione e di civilizzazione. E a quelli – divenuti evidenti nel secolo passato – di decivilizzazione e di disentificazione. Ci dovrebbe far ripensare alle identità nomadi dei popoli che sono coinvolti e a come queste identità possono diventare il modo per affrontare la modernità.

Invece no.

Si continua a pensare al conflitto in Palestina nei termini di una scienza politica vecchia, fondata sulla centralità dello stato anche quando gli stati sono privi di qualsiasi rilevanza (davvero sovrastrutturali, come a volte lo è l'economia) e che pensa che basti mettere quattro capi di stato e di governo intorno a un tavolo, promettere loro risorse finanziarie e firmare un accordo.

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