venerdì 5 settembre 2008

con Fay a Miami







Di ritorno dall'isola d'Elba, l'equipaggio di PatuPatu (Cristina, Paolo, Simonetta e io) è volato dall'altra parte dell'Oceano atlantico, diretto nelle isole della Florida. L'atterraggio a Miami è avvenuto il 17 agosto, dopo una sosta ad Amsterdam, ed è stato seguito dopo poche ore dall'arrivo della tempesta tropicale Fay.

Nei programmi la permanenza a Miami era stata limitata al massimo: una giornata, per ambientarsi al nuovo fuso e al nuovo clima. Una decisione legata un po' anche alle visite precedenti a Miami, di passaggio da o verso l'America latina. In queste visite quasi soltanto un aspetto della città era risultato evidente: quello di polo di attrazione commerciale per i latinoamericani e anche per i turisti italiani.

Un polo fatto di centri finanziari, di una massiccia presenza di immigrati ispanofoni (tra i quali anche numerosi militari e uomini politici costretti a lasciare i loro paesi dalla caduta delle dittature e dall'affermazione di sistemi democratici), di grandi centri commerciali, delle immagini stereotipate dei telefilm - una spiaggia su cui si affacciano grattacieli e locali notturni, gente ricca e famosa su motoscafi e così via – e della vicinanza con i lunapark di Orlando.

Fay, invece, ci ha costretto a restare in città un po' più a lungo (le vie per le Florida keys erano chiuse ed era stato emanato un “warning” e un preavviso di evacuazione per le isole), rivelando uno degli aspetti principali della città: quello del rapporto con l'acqua.

Già prima dell'atterraggio questo rapporto ha iniziato a disvelarsi: non soltanto per il fatto che la città si distribuisce anche su alcune isole, ma anche per il fatto che la “terra ferma” stessa su cui la città è sparsa (forse questo è il termine migliore per indicare la dispersione dell'insediamento, che comprende alcuni nuclei di edifici alti e concentrati, ma che è costituito soprattutto da migliaia di casette, baracche e trailers) è attraversata da una miriade di canali e cosparsa di centinaia di pozze e laghetti.

La presenza ingombrante e spesso conflittuale dell'acqua nella città è diventata evidente una volta scesi a terra.

Dopo essere entrati in possesso di un'automobile a noleggio, per raggiungere “South Beach” abbiamo dovuto attraversare una miriade di ponti, di canali e di isolette, distratti dalle barche ormeggiate (molte a motore, qualcuna a vela).

La prima sera, il nostro contatto con l'acqua si è limitato a questo e alla notizia dell'arrivo di Fay.

La mattina – ancora soggetti al fuso orario italiano – siamo usciti presto e, dopo aver attraversato un paio di strade, siamo andati sulla spiaggia, ancora deserta.

Ad accoglierci abbiamo trovato qualche senzatetto addormentato sulle panchine, alcuni uccelli che lottavano con il vento - che intanto ci sferzava le gambe con la sabbia - e soprattutto un orizzonte coperto di nuvole nere. Fay velocemente si stava avvicinando.

In pochi minuti, al vento si è aggiunta la pioggia che ci ha costretto a cercare un riparo. Pioggia che poi è continuata, spesso violenta, per gran parte del giorno, con poche brevi pause.

Non ci è restato che prendere l'automobile e girare per la città, tra i temporali.

Dopo aver percorso tutta Miami Beach da sud a nord, ci siamo diretti verso North Miami e poi con un percorso a ZigZag – tra strade, canali, villette middle class e baracche di immigrati haitiani – siamo scesi verso “Downtown”, dove si trovano gli edifici delle compagnie finanziarie, e quindi verso il porto e di nuovo a Miami Beach, attraversando di nuovo il braccio di mare che la divide dalla terra ferma, nel quale si trovano altre isolette, occupate da ville più o meno sontuose.

Nonostante il vento, l'acqua nel braccio di mare che è al centro della città era calma: il basso fondale non permette il formarsi di onde molto alte, così come non lo permette la “chiusura” dello specchio d'acqua da ogni lato. Vi si formano invece piccole e ripide onde, che danno un'idea del vento meglio di qualsiasi anemometro.

Una città d'acqua, con un grande porto, un mare interno, spiagge, isole e innumerevoli pontili ed ormeggi; ma anche un po' una città contro l'acqua, in parte costruita occupando le isolette esistenti e in gran parte costruita costringendo l'acqua che occupava la terra ferma all'interno di canali e rigagnoli. Fay ha reso evidente, però, che l'acqua ogni anno riconquista almeno temporaneamente i suoi spazi, allagando le strade (che di rado hanno una struttura che consente all'acqua di defluire) e spesso anche le case.

La relazione difficile con l'ambiente naturale forse mostra il carattere nord-americano della città. La gente e il funzionamento della città stessa ne dimostrano invece una quasi appartenenza all'America latina.

Nei negozi e nelle strade lo spagnolo è più diffuso (e riscuote maggiore simpatia) di quanto non faccia l'inglese. Nei supermercati si trova più spesso il cibo latinoamericano, riso, frijoles, tamales, platanitos che non quello che in genere viene riconosciuto come Yankee. Tanto è che dopo i primi giri in città, il primo pasto – insieme ai nostri amici già in città da una settimana – è stato comprato parlando in spagnolo: pollo, tamales, platanos e puré.

A quel pranzo è seguita una cena, in un ristorante argentino, parlando in spagnolo della crisi argentina e della politica latinoamericana con un cameriere costretto a lasciare Buenos Aires dalla crisi economica generata dalle politiche (e dalla corruzione) di Menem. Intanto fuori Fay continuava a soffiare, sbatacchiando le palme, rompendo vetri e persino facendo volare qualche incauto “kitesurfer” fino ai primi palazzi affacciati sulla spiaggia.

La violenza di Fay è passata in fretta: già il 19 agosto è stato possibile girare un po' di più. Ne abbiamo approfittato per andare a Key Byscaine. Il parco nazionale era ancora chiuso a causa della tempesta. Siamo stati costretti, quindi, a cercare un accesso al mare tra le ville e che occupano l'isola. Invano. Tutte le aree adiacenti al mare dell'isola, al di fuore di quelle appartenenti al parco nazionale, sono occupate da abitazioni private o da club, che non soltanto occultano la vista del mare a quelle situate più indietro ma impediscono anche il semplice accesso al mare per la maggior parte degli abitanti di una delle aree più affluenti dell'area di Miami.

Non si può fare a meno di pensare che a portare così tanti ad abitare a Key Biscaine non sia tanto l'idea di abitare su un'isola, in contatto diretto con l'oceano, quanto piuttosto quello di abitare in un luogo chiuso. Lontano dai pericoli della città. E una breve visita a Hibiscus e nelle altre isolette di Miami confermano quest'impressione. Alcune abitazioni sono sulla riva e dispongono di pontili privati. Molte altre non hanno nessun contatto con il mare, anche se spesso vi si trovano parcheggiati rimorchi con grosse barche con il motore fuoribordo. Esattamente come accade nelle aree meno ricche di North Miami, di “Little Haiti” o della “Calle 8”.

Tornando verso Miami abbiamo però incontrato un piccolo parco statale. Chiuso anch'esso, ma con un cancello aperto, che ci ha consentito di entrare comunque e di godere della vista del mare e della foresta di mangrovie quasi da soli (insieme a noi, infatti, erano entrati alcuni altri curiosi). Appena arrivati sulla spiaggia, ovviamente attrezzata di tavolini da picnic e fornelli da barbecue, siamo stati accolti da alcuni racoon, oltre che da qualche gabbiano e da qualche garzetta. I primi animali incontrati, senza contare lo scoiattolo grigio che la mattina ci ha guardato curiosamente da un albero sulla spiaggia di South Beach.

Al ritorno da Key Biscaine ci siamo fermati downtown, per fare un giro sul treno monorotaia che attraversa il centro e che unisce il centro economico con la ferrovia metropolitana che collega alcuni dei quartieri della città. Stranamente non abbiamo incontrato nessun turista. Il treno deserto - almeno in quel pomeriggio di un giorno tempestoso – nel tratto che attraversava i grattacieli del centro finanziario, si è affollato di donne, uomini e bambini latinoamericani e nero-americani (neanche un WASP) nel tratto che unisce le stazioni della metropolitana.

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