lunedì 8 settembre 2008

Key Largo






Dopo tre notti a Miami, abbiamo lasciato la città. Di tanto in tanto c’è ancora qualche acquazzone, ma sono stati riaperti gli edifici e gli uffici pubblici, la US1 che porta verso Key West e i parchi.

Non lasciamo subito la città, prima – seguendo una guida turistica – ci fermiamo a Little Havana (cioè sulla Calle Ocho, South West, sulla parte urbana della US41, il cosìddetto "Tamiami Trail", che conduce attraverso le Everglades fino a Naples, sul Golfo del Messico), al Cafè Versailles.

Un ristorante tradizionale (che gestisce anche alcuni chioschi nell’aeroporto internazionale), che dovrebbe offrire cucina e caffè cubani di particolare pregio e dove pare vengano portati a far colazione i presidenti americani ospiti della comunità cubana (cioè soprattutto i conservatori).

Non mi sembra molto bello, né molto interessante: un capannone tra centri commerciali, brutti edifici e grandi spianate piene di automobili in vendita: due sale, con le pareti coperte da vetrate e i vetri sulla strada con una forma decorativa smerigliata sopra; le sedie di metallo con la seduta imbottita – di quelle che si trovano spesso nelle sale un po’ datate dei ristoranti e delle sale per conferenze degli alberghi di tutto il mondo - intorno a tavoli quadrati. I camerieri con noi parlano in inglese, tra loro in spagnolo. Il servizio è certamente il più lento e il meno attento che abbia visto negli Stati Uniti. Il caffè normale, i panini e le porzioni grandi (ma dove non lo sono a Ovest dell’Oceano atlantico?). Non riesco a capire perché sia stato segnalato e ricevo ancora una volta conferma che le guide per i turisti non sono una buona guida per me.

Dopo la pausa, un po’ forzata, sfidiamo il traffico per raggiungere la US1 e poi ci incolonniamo dietro le altre automobili. Tutti a 55 o 45 miglia all’ora, secondo le indicazioni dei cartelli stradali. Di fatto, una buona velocità per chi voglia guardarsi intorno.

Per un po’ non c’è molto da vedere: capannoni, centri commerciali, centri residenziali middle class; poi, si esce davvero (ma bisogna arrivare fino a Homestead) e inizia il verde ai lati della strada. E’ l’erba che cresce nell’acqua delle Everglades, che ci accompagna fino al ponte che porta a Key Largo, la prima e più lunga delle isole.

Sulla US1 c’è ancora poco traffico. La tempesta è passata da troppo poco tempo perchè il flusso turistico abbia ripreso la normalità (e perdipiù è un mercoledì di bassa stagione). Ogni tanto però superiamo o veniamo superati da qualche grosso pick up che rimorchia una barca.

La nostra intenzione originaria era quella di andare a dormire in tenda nel parco statale di Long Key, in riva al mare. Un po’ più a sud di Key Largo. Il campeggio nel parco però ancora non è riaperto. Così decidiamo di affidarci un po’ al caso e di cercare un motel. Uno dei tanti che affiancano la strada sia a destra, sia a sinistra, interrompendo la vegetazione che nasconde da una parte l’oceano aperto e dall’altra la baia. Dopo qualche chilometro dall’ingresso sull’isola vediamo il cartello del John Pennekamp National Park: il primo parco sottomarino aperto negli Stati Uniti. Una meta quasi obbligata già decisa da tempo. Invece di trovare l’ingresso del parco, che è alcune miglia più a Sud, troviamo il visitor center: una casetta di legno in stile caraibico con al lato un magazzino di attrezzature subacquee, sormontato da una testa di squalo da cui penzola un braccio. Ci fermiamo, alla ricerca di piantine e depliant e troviamo anche le indicazioni sui motel.

Il primo con due stanze libere non è lontano. Si trova al mile marker 99,5 (il Mile Marker 0 si trova a Key West) e si chiama Bay Cove Motel. Ci arriviamo ed entriamo. Un grande cartello che promette romantici tramonti, poi una statua di lamantino utilizzata come cassetta delle lettere e una piccola costruzione con animali marini dipinti, ci introducono in un vialetto di meno di cento metri, ombreggiato da alberi e palme da cocco, che finisce in riva al mare. Il cartello promette anche una spiaggia, che invece non c’è. Ci sono invece uno scivolo per mettere in acqua le barche, una banchina di legno, e alcune canoe.

Franco, il mio amico, è un po’ deluso. Si aspettava una spiaggia vera, con la sabbia bianca. Così andiamo a vedere un altro motel, a mezzo miglio di distanza. Più che di un albergo si tratta di un parcheggio di trailers e roulotte, che ha anche alcuni bungalows. La struttura è come quella del primo: un viottolo che arriva al mare, dove si trovano uno scivolo e un moletto. Stavolta però non ci sono gli alberi, ma soprattutto qui non c'è neanche l'ombra di una spiaggia.

In realtà, lungo i Florida Keys di spiagge "vere" non ce ne sono quasi in nessun luogo (fanno eccezione, in parte, il parco di Bahia Honda e il Fort Zachary Park a Key West): le coste dei Keys – sia dalla parte dell’Oceano, sia da quelle della baia e del Golfo del Messico - sono quasi completamente coperte di mangrovie, strappate via per far posto a pontili, scivoli o terrazze sul mare. Oltre le mangrovie c’è il mare con un fondale che resta sempre piuttosto ridotto, con il fondo sabbioso coperto di sea grass (posidonie ?), che offre nascondiglio e ossigeno ai pesci e nutrimento ai lamantini, con teste di corallo sparse qua e là, e isolette.

Il tutto non è molto soddisfacente per chi abbia in mente una spiaggia bianca tropicale, ma lo è molto di più per chi voglia pescare o osservare pesci e ambienti sottomarini. E – dalla parte della baia – è anche interessante per chi abbia una barca, che può essere lasciata all’ancora senza grandi preoccupazioni.

Dopo qualche altro sondaggio torniamo al Bay Cove Motel, dove prendiamo possesso di sue stanze. Ognuna con due letti matrimoniali, secondo uno standard diffuso. Forse legato al fatto che le famiglie americane quando viaggiano sono quasi sempre costrette a fermarsi sulla strada.

Ne saremo tanto soddisfatti da tornarci ancora: oltre alle stanze (che visto che hanno le finestre che si aprono permettono di sfuggire alla prigionia dell’aria condizionata), troviamo a nostra disposizione tavoli e fornelli da barbecue vicino al mare, canoe e canne da pesca. Appena arrivati i bambini entrano in acqua, circondati da pesci ago e da snapper di mezzo metro. Continueranno a starci fino a sera e per tutto il tempo in cui sono liberi, a guardare i pesci e gli altri animali (dai limuli, che appaiono un po' come mostri preistorici, ai granchi, alle conchiglie), interrompendo soltanto per farsi dare le pagaie delle canoe con cui raggiungere le barche ancorate a poca distanza o i pontili vicini, per aprire le noci di cocco cadute dalle palme o per inseguire gli scoiattoli, per giocare a pescare (pescando davvero pesci che in Italia costituirebbero la gioia di qualsiasi pescatore).

Oltre alla ricchezza del mare, c’è davvero anche il tramonto, con le nuvole che viaggiano veloci nella baia e che danno al mare migliaia di sfumature.

Nei due giorni seguenti ci tuffiamo appena svegli, poi iniziano le attività della giornata: le visite al J.Pennekamps Park (dove passeggiamo tra le mangrovie, vedendo uccelli, serpenti e tartarughe), una gita in catamarano a vela sulla barriera (che, nonostante la visibilità limitata prodotta dalla tempesta appena passata, ci offre la vista di migliaia di pesci di almeno una decina di specie differenti e di una grande tartaruga, oltre che di quattro o cinque tipi diversi di corallo), una nuotata con i delfini, la vista di barche di ogni genere, una cena a base di tonno, mahimahi e alligatore in un ristorante sull’oceano, una serata a cuocere e mangiare carne sulla riva del mare. Ma queste cose meritano altri racconti.

Una sola cosa non si può raccontare, perché non c’eravamo: il giorno dopo il nostro arrivo - mentre noi eravamo a nuotare con i delfini - una famiglia di lamantini (un maschio, una femmina e un cucciolo) è arrivata di fronte al pontile e si è fermata a brucare, spingendosi anche a guardare con curiosità un bambino californiano e i suoi genitori (gli unici clienti del motel oltre a noi) che stavano nuotando e giocando lì di fronte.

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