lunedì 18 ottobre 2010

Tre mari: 2 - Ionio







1. Iniziamo dall’Adriatico

PatuPatu non ci ha accompagnato sullo Ionio e sull’Egeo. Tornati da Ponza abbiamo caricato la nostra automobile con due canoe gonfiabili, due tende, pinne e maschere, e tutto il resto e siamo partiti alla volta di Bari, per prendere il traghetto diretto a Igoumenitza.

A Bari ho abitato 2 anni, quasi venti anni fa. Ovviamente l’ho trovata cambiata (in meglio), ma mi sono anche ritrovato anche un po’ a casa. Lasciata la macchina sul lungomare, vicino al porto vecchio (dove non ho più visto le barche dei contrabbandieri che ricordavo: motoscafi colorati di nero o di blu, con gli scafi affilati, senza nessun orpello e con un largo pozzetto), abbiamo fatto un giro nella città vecchia, tra i vicoli, le case bianche, entrando in qualcuno dei cortili nei quali si coglie la dimensione domestica, che dal di fuori non si percepirebbe.

Nel pomeriggio ci imbarchiamo sul traghetto. Abbiamo i biglietti per il passaggio sul ponte. Le cabine erano già state tutte occupate quando noi li abbiamo comprati. Saliamo in ritardo e in ritardo cerchiamo un posto per dormire: l’interno della nave è affollatissimo, c’è gente stesa ovunque, luce e rumore; sui ponti tutti i luoghi al riparo dal vento sono occupati. Alla fine ci sistemiamo sul ponte lungo la fiancata: c’è una paratia che almeno un po’ dovrebbe ripararci. Potrebbe ripararci davvero se non ci fosse un continuo passare di persone, che nonostante l’indicazione di chiudere la porta che è sulla paratia la lasciano aperta, a sbattere o a far passare il vento. Dormiamo comunque. Ci sveglia la mattina l’annuncio che stiamo per arrivare. Sono le 4.

2. Verso Atene e da Atene: Lefkada

Scendiamo velocemente, già tutti in macchina e direttamente prendiamo la strada costiera verso Preveza e Lefkada. E’ ancora buio, la strada è quasi deserta, non c’è neanche un caffè aperto. Non ci resta che continuare, superiamo il bivio per parga e arriviamo velocemente in vista di Mitika, dove la strada passa lungo la spiaggia. Decidiamo di fermarci. Io e Simonetta tiriamo fuori un telo e due sacchi a pelo e ci stendiamo sulla spiaggia, i ragazzi – che non hanno di fatto mai smesso di dormire – continuano il loro sonno in macchina. Sono quasi le 7 quando ci svegliamo e io mi tuffo. L’abitudine presa in barca può essere mantenuta anche qui. L’acqua è calma e trasparente, il fondo di sassolini. Via via si svegliano tutti e tutti approfittano per il primo bagno della giornata.

A pochi metri dalla nostra macchina (e a pochi metri dalla strada che da Igoumeniza porta a Preveza) si fermano anche due camper. Immagino vogliano come noi fare una breve pausa, il primo bagno nell’Egeo e magari colazione. Non è così. Iniziano a tirare fuori tavoli e sedie, a sistemare un telo di fronte al camper per coprire il suolo e una veranda per ripararsi dal sole. In sostanza, creano un vero e proprio accampamento. Noi però non rimaniamo a guardare. Stavolta in costume, risaliamo in macchina e continuiamo verso Lefkada. Simonetta e io c’eravamo passati una volta, molti anni prima. Ricordavamo un’isola congiunta a terra da un ponte mobile, un castello, una strada piena di ristoranti e una banchina piena di barche a vela. Ci sono tutti ancora.

Per arrivare a Lefkada però adesso c’è un tunnel che permette di risparmiare un po’ di strada nell’attraversamento delle grandi lagune che la dividono da Preveza e dalla terra ferma. C’è traffico e un discreto affollamento. Nonostante questo riusciamo a trovare un posto per la macchina e andiamo a far colazione. Ci fermiamo in uno dei tanti caffè che offrono anche la connessione wi-fi e iniziamo ad accorgerci di non essere più in Italia. Nonostante la presenza degli italiani sia evidente, accoglienza, prezzi e servizio sono ancora quelli che avevamo lasciato vent’anni prima.

Ci fermiamo solo il tempo per un caffè, per controllare le mail, per guardare qualche chiesa ortodossa nella cui architettura restano tracce evidenti del passato genovese (così come nel castello di Santa Maura che si trova prima del ponte che porta all’isola) e per osservare le case, che in gran parte integrano parti in muratura con parti in legno e in lamiera: si tratta di un’edilizia adatta a sostenere i terremoti. Decidiamo però di tornare.

Torniamo venti giorni dopo, siamo passati per Atene, Chios, la costa egea della Turchia, Delfi, il golfo di Patrasso, e abbiamo bisogno di un luogo in cui fermarci un po’: io devo riprendere il lavoro sul serio (anche se per poco) e farlo in nomadismo è difficile. Quando torniamo non ci fermiamo a Lefkada: vorremmo un posto sul mare, che ci consenta di mettere in acqua le canoe gonfiabili che abbiamo con noi e che non ci costringa a spostamenti. La costa settentrionale di Lefkada è aperta al vento e al mare. E’ adatta a chi voglia andare in windsurf o in Kite (ormai più alla moda), meno a chi abbia un programma come il nostro. Iniziamo a percorrere la costa meridionale, fermandoci quasi ad ogni albergo o camping: nonostante sia la fine di agosto è ancora tutto pieno. Andiamo avanti e stiamo già quasi per rinunciare a cercare un luogo sulla costa, quando – passando lungo la baia di Nidri, un vero e proprio, affollatissimo porto naturale - vediamo i cartelli che portano alla baia di Desimi.

E’ una baietta di fronte a Meganisi, secondo le carte ci sono due camping. E’ vero. La baia c’è ed è bella. Peccato che i due camping siano affollatissimi: non hanno posto e anche se lo avessero non sarebbe proprio piacevolissimo restar lì. Notiamo però una serie di bungalows, in un giardino da cui si accede al mare. Chiediamo un po’. Si affittano, ma in genere si deve prenotare molto tempo prima. Ci fermiamo comunque, in effetti due bungalows liberi ci sono. Però è previsto che arrivi qualcuno esattamente il giorno in cui dobbiamo lasciarlo: dobbiamo faticare un po’, ma alla fine riusciamo a ottenere i bungalows.

E’ un posto perfetto per lavorare: mi alzo presto, vado a fare il bagno mentre la spiaggia è ancora deserta e poi inizio il lavoro, all’ombra della veranda di fronte all’ingresso del bungalow o sotto un gazebo di legno non lontano dal mare. Poi, quando devo inviare o ricevere mail o cercare qualcosa su internet, mi sposto nel camping vicino dove l’uso di internet è gratuito. Anche grazie a questo, dopo un paio di giorni il mio lavoro è finito.

E’ il momento di gonfiare le canoe e di esplorare un po’ la zona circostante. Questo ci permette anche di lasciare la spiaggia prima a che inizi ad essere affollata, nella seconda parte della mattinata. Intorno ci sono spiaggette a cui si arriva solo dal mare, piccole grotte, scogli. Riusciamo a evitare quasi qualsiasi contatto umano. Quasi, ma quelli che abbiamo sono piacevoli: lo skipper e armatore di una grande barca a vela (almeno 50 piedi, in sandwich, con linee da Uldb) con il quale rimaniamo a chiacchierare, parlando di barche e della Turchia; un anziano signore su una piccola barca degli anni 70; gli armatori di altre barche che sono alla fonda nella baia e sono incuriositi dalle nostre canoe (almeno quanto noi dalla possibilità di portare in futuro PatuPatu in Grecia e lasciarla a Lefkada – Nidri).

Ormai è arrivata la fine delle vacanze. Se n’è accorto anche il cielo che dopo quasi un mese di sole è pieno di nuvole: nella notte ha piovuto ora c’è un forte vento da mare. La spiaggia resta deserta e anche molte delle barche che sono alla fonda nella baia di Desimi hanno levato l’ancora e sono andate via (a Nidri? a Meganisi). Io e Paolo iniziamo a sgonfiare le canoe, ma decidiamo nonostante il vento di fare un giro. Pensiamo a un giro breve, giusto quanto basta per visitare ancora una volta le grotte e le spiagge dei giorni precedenti. Ma una volta a bordo e ormai ai limiti della baia ci accorgiamo che il vento non ci disturba molto: la canoa cinese su cui siamo è abbastanza bassa sull’acqua e si riesce a tenerla in rotta senza problemi. Così iniziamo a pagaiare verso Meganisi, non sappiamo quanto sia lontana (ma sappiamo che nei giorni precedenti altre canoe si sono dirette lì) e abbiamo la certezza che se la fatica si fa sentire troppo, possiamo approfittare della spinta del vento per tornare. La fatica non si fa sentire (anche perché penso quelle che percorriamo per arrivare all’isola siano circa due miglia) e quindi prima arriviamo nell’isoletta di fronte a Meganisi e poi su Meganisi vera e propria. Al ritorno pagaiamo meno, il vento ci spinge (anche se non proprio in rotta). Lo sforzo maggiore è quello di non farsi traversare dal vento e dalle onde.

C’è ancora il tempo di lavare, far asciugare e sgonfiare la canoa. Poi andiamo a pranzo al ristorante sulla spiaggia: la mussaka che non c’è mai stata nei giorni precedenti ci aspetta.

La nave parte nella notte e il viaggio tra Lefkada e Igoumeniza non è lungo: sulla via del ritorno ci fermiamo a Parga (ma è troppo affollata, forse in inverno è più piacevole) e alla foce dell’Acheronte: il fiume alle porte dell’Ade. Bisognerà tornarci.

3. Verso Atene: Mitikas, Astakos, Rio e il golfo di Patrasso

Ma ora torniamo indietro nel tempo. Lasciata Lefkada per continuare verso Atene continuiamo a prendercela comoda: ci fermiamo ancora sulla strada tra Pogonia e Paleros (scogli, acqua limpida e pescetti) e a pranzo a Mitikas. Infatti, poco prima di Astakos, di fronte all’isola di Kalamos c’è un secondo villaggio chiamato Mitikas. Anche Mitikas è su un piccolo promontorio. Forse la parte più bella è quella a ovest: alcune case lungo la banchina e alcuni ristoranti sul mare. Nessun turista. La signora del ristorante in cui ci fermiamo ci parla in italiano. Pare che un tempo gli italiani venissero molto qui, ci racconta, ormai da qualche anno però non se ne vedono più. Quest’anno si vedono di meno anche i greci. Sulla costa orientale, più riparata dal vento, c’è un porticciolo. Anche Mitikas viene segnata tra i posti in cui tornare.

La strada continua passando per Astakos, dove alcuni cantieri navali attirano la nostra attenzione, e poi nell’interno. Passando prima per colline molto brulle e poi per le pianure piene di colture arriviamo alle lagune che circondano la cittadina di Missolongi (dove l’unica cosa da vedere è la statua a Lord Byron). Poi si torna ancora all’interno per arrivare a Antirio. Siamo sul golfo di Patrasso: ad attenderci per permetterci di entrare nel Peloponneso c’è un grande ponte costruito per le Olimpiadi di qualche anno fa.

A dormire ci fermiamo a Rio, proprio sotto il ponte. Siamo in uno strano albergo: un edificio moderno pieno di decorazioni che richiamano l’antichità. E anche qui siamo gli unici ospiti. L’albergo è stato costruito anche lui in occasione delle olimpiadi, da un emigrato tornato a Rio dopo aver vissuto per 20 anni in Svezia e aver girato tutto il mondo come marinaio. Ci indica la strada per arrivare ad Atene: lungo la costa del golfo, passando per cittadine turistiche poco frequentate dagli stranieri - ma con un bel mare - poi passando per l’antica Corinto (che è in collina) e quindi attraversando il ponte sull’istmo.

Seguiamo i suoi consigli e nel primo pomeriggio siamo al Pireo e poco dopo ad Atene. Domani mattina, dallo Ionio passeremo all’Egeo, con una nave che ci porterà a Chios.