martedì 9 settembre 2008

Delfini



La prima volta che ho visto un delfino è stato nella Baia di Guanabara, di fronte al ponte che da Rio de Janeiro porta a Niteroi. Forse, uno dei luoghi più inquinati del mondo. Eppure davanti alla prua di Mr.Ze’, la barca su cui ero, erano spuntate prima le pinne e poi i dorsi di un gruppetto di delfini. Poi di nuovo, mi è capitato di incontrare i delfini, nei momenti e nei luoghi meno prevedibili: la mattina all’alba, durante un trasferimento tra Ilha Bela e Angra dos Reis, sentendo prima il loro respiro e poi scorgendone le pinne quando ormai il mare iniziava ad essere illuminato; di pomeriggio a poche centinaia di metri dalla costa a Anzio; di fronte a Ostia e a Fiumicino durante la mattina.

Navigando con PatuPatu, c’è sempre qualcuno con gli occhi fissi alla ricerca dei delfini. Ma non si sono mai fatti vedere da nessuno dei membri dell’equipaggio: né nelle Isole Pontine, né nelle Isole Toscane e neppure in Sardegna.

In Florida è stato diverso. Abbiamo incontrato i delfini due volte: la prima in modo “organizzato” in un centro di studio e divulgazione sui cetacei a Key Largo, la seconda in modo casuale, tra le isolette del Golfo del Messico, non lontano da Everglades City.

Quando abbiamo iniziato a pensare a un viaggio nei Florida Keys, abbiamo iniziato navigando su internet e abbiamo trovato diversi centri che offrivano “Dolphin’s Swim”, la possibilità di nuotare con i delfini e di incontrarli in un ambiente controllato e in una situazione più o meno artificiale. La cosa non mi convinceva: anche soltanto vedere i delfini all’interno di un acquario o di un delfinario mi ha sempre fatto provare una sensazione strana. Quella di guardare, indesiderato, un prigioniero. Però, dall’altra parte, la possibilità di nuotare con i delfini era, soprattutto per i bambini, una prospettiva, forse non proprio “politically correct”, ma affascinante. Molto più di quanto non lo fossero quelle di vedere città nuove, di dormire in tenda o di immergersi tra i pesci della barriera corallina.

Così, era stata prenotata una “nuotata con i delfini” non strutturata: in un bacino naturale (ma chiuso) un incontro ravvicinato con alcuni delfini, senza nessun contatto diretto, a meno che essi – incuriositi - non si fossero avvicinati. Almeno, questo è quello che avevamo pensato. Al momento del pagamento ci siamo invece accordi che era stato prenotato un “incontro strutturato”, durante il quale – nello stesso ambiente e con l’assistenza di un istruttore – con i delfini sarebbe avvenuta una interazione diretta. Dopo qualche discussione abbiamo deciso di non cambiare.

Il 21 agosto, alle 15, siamo entrati nel “Dolphin Cove” a Key Largo: Cristina, Paolo, Luca (anche lui dodicenne, come Paolo), Simonetta e io. Incuriositi, contenti e intimoriti. Rapidamente, ci hanno chiesto di indossare dei giubbetti salvagente e poi ci hanno fatto salire a bordo di una barca dove, durante un piccolo giro nella baia, si è tenuto un briefing.

Dopo aver presentato la fisiologia dei delfini, un’istruttrice ha spiegato alcune norme di comportamento: i delfini sono liberi e considerano il bacino in cui si trovano loro, quindi – anche se è probabile che essi vengano ad incontrarci e a giocare potrebbe anche darsi che non lo facciano; i delfini sono sensibili e delicati, si devono evitare movimenti che possano produrre sensazioni di aggressione o addirittura lesioni; i delfini comunicano in diversi modi, ci guarderanno e vorranno essere guardati – a differenza di altri animali lo sguardo diretto non è considerato aggressivo, e così via.

Quando torniamo al bacino, in cui abbiamo già visto nuotare un gruppetto di delfini, siamo ancora più intimoriti di quanto non fossimo prima. E’ abbastanza evidente che, nonostante la presenza dell’istruttore e la “strutturazione”, si tratta di una situazione in cui noi – gli uomini – abbiamo una scarsissima capacità di controllo.

Per primi entriamo nell’acqua, in un golfetto circondato dalle mangrovie, Paolo, Luca e io (che dovrò anche cercare di capire e di tradurre le indicazioni che via via ci saranno date dall’istruttore, visto che la comprensione dell’inglese dei due ragazzi è molto sommaria). Siamo molto tesi. Veniamo fatti sedere su una piattaforma galleggiante, su cui si trova l’istruttore (o meglio l’istruttrice, visto che si tratta di una ragazza), con le gambe stese nell’acqua. Due delfini arrivano e si strusciano sui nostri piedi.

Poi entriamo in acqua. E inizia. I delfini ci coinvolgono in giochi, salti, spinte, carezze. Via via, acquisiamo un po’ più di tranquillità. Se noi sbagliamo o non seguiamo le indicazioni che ci vengono date, i delfini se ne accorgono e “correggono” i nostri errori. Prima vengono a farsi accarezzare, poi saltano, quindi ci schizzano, poi ci spingono e ci trainano, infine ci riaccompagnano alla piattaforma galleggiante. Ogni volta, dopo un gioco, tornano dall’istruttrice e ricevono un premio, a volte un pesce, a volte una frase o una carezza altre uno schizzo o semplicemente una risata.

Dopo di noi tocca a Simonetta e Cristina. Simonetta ha una faccia allegra, la cosa la fa ridere. Cristina (che ha otto anni) è tesissima. Anche lei dopo un po’ - dopo aver sentito la morbidezza della pelle, aver guardato gli occhi scuri e aver visto che non è lei che deve comandare, ma sono i delfini che guidano e conducono l’incontro – si rilassa e ride.

Quando usciamo siamo tutti molto stanchi.

E’ stata una esperienza strana. Come quella di incontrare un popolo completamente diverso, del quale non si condivide quasi nulla se non la consapevolezza di essere diversi e quella relativa ad alcuni comportamenti di conciliazione. Si può capire, dopo un incontro così, come possano essere vere le storie che raccontano di delfini che spingono sulle spiagge i naufraghi. E sembra di essere totalmente fuori del tempo. In un tempo speciale, come quello delle favole e dei miti, o dei racconti dipinti sui vasi cretesi.

L’incontro con i delfini del Golfo del Messico – tra le Ten Thousend Islands - è stato più “tradizionale”, meno diretto, ma altrettanto emozionante. Li abbiamo intravisti giocare sulla superficie del mare, ci siamo avvicinati e anche loro si sono accorti di noi. Hanno giocato ancora, ci sono venuti un po’ intorno e poi se ne sono andati. Poi, quando, la nostra barca ha iniziato a lasciare una scia, sono venuti a giocare sulle onde, saltando.

Ho provato a fotografarli, ma ci sono riuscito a malapena. I loro tempi non erano quelli dell’otturatore della macchina digitale. Questo secondo incontro è stato per i bambini ricco di sensazioni quanto il primo. Soprattutto, in questo, c’è stata la percezione della libertà e della casualità. I delfini c’erano perché stavano pescando da quelle parti (ricchissime di cibo) e hanno giocato finché ne hanno avuto voglia, poi sono andati per la loro rotta, mentre noi siamo tornati per la nostra.

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