martedì 16 settembre 2008

Dry Tortugas






Il porto vecchio di Key West la sera è affollato. I bar e i ristoranti sono pieni di avventori. Le barche ormeggiate sono oggetto di sguardi e a volte di sogni: i grandi catamarani che durante il giorno hanno portato i turisti a fare il bagno sulla barriera corallina, le barche per la pesca d’altura, due grandi golette che aspettano qualcuno che le noleggi. Sono molte le barche da lavoro. che mostrano la loro fatica e a volte la loro età, ma promettono anche navigazioni in un mare ricco di vento e ricco di vita.

La mattina presto invece il porto è quasi deserto. Sulla banchina a cui è ormeggiato il catamarano che porta alle Dry Tortugas ci sono soltanto il capitano e il suo equipaggio. In tutto due o tre persone, abbronzate, maglietta e bermuda.

Quando arriviamo, con l’automobile carica come un uovo, accolgono i nostri bagagli e li caricano a bordo con un sorriso. Sul catamarano non c’è molto posto. Ce n’è abbastanza però, per accogliere 15 galloni di acqua (6 piccole taniche), due borse morbide (una di pinne e maschere per lo snorkeling, l’altra con i vestiti) e una cassa rigida (il cibo: scatolame, pane, verdure). Non sono ancora le 7 di mattina. E’ ancora presto per imbarcarsi, cerchiamo un caffè. L’unico già aperto è una specie di grande magazzino, lungo la banchina di legno. Lo si riconosce perché al parapetto della banchina sosta un gruppetto di persone, tutte appoggiate e ancora un po’ assonnate, guardando l’acqua sporca del porto e le barche ormeggiate, con un grosso bicchiere fumante di polistirolo in mano. In qualche minuto anche noi facciamo parte del gruppo.

Ormai è ora di imbarcarsi, ma non c’è troppa fretta. Sul catamarano stanno salendo i passeggeri, ma non sono molti. Il catamarano, chiamato senza troppa fantasia Fast Cat, in fotografia sembra un po’ fantascientifico, con i suoi scafi stretti per infilarsi nelle onde e la sua cabina chiusa, da vicino invece mostra i segni di una barca da lavoro, con le rifiniture un po’ grossolane, che certo si adatterebbero poco sia a uno Yacht, sia a una barca del futuro. Ci sistemiamo a poppa, sul piccolo ponte da cui si accede alla cabina. Soprattutto Simonetta e io non abbiamo nessuna voglia di passare ancora qualche ora nell’aria condizionata.

“Fast Cat” lascia il suo ormeggio velocemente ed esce dal porto. Fuori il mare è calmo. A percorrere le 70 miglia che separano Key West da Garden Key, la più grande delle Dry Tortugas, il catamarano impiega poco più di due ore, con una navigazione veloce e tranquilla, lungo un canale segnalato da piccole boe.

Le Dry Tortugas (http://www.nps.gov/drto/ ) sono tre piccole isole: Garden Key, l’unica accessibile facilmente, sulla quale si trova Fort Jefferson (una fortezza ottagonale, costruita in mattoni dalla metà del XIX sec. e poi abbandonata all’inizio del secolo successivo e dichiarata negli anni ’30 parco nazionale); Bush Key, una bassa striscia di sabbia, con un po’ di vegetazione, quasi attaccata alla maggiore, che costituisce un luogo di nidificazione per le sterne e le fregate e sulla quale per questa ragione non è possibile accedere; Loggerhead Key, su cui si trova un faro, a circa tre miglia da Fort Jefferson.

A Fort Jefferson si arriva con la propria barca, con uno dei due catamarani autorizzati a portarvi i turisti - Fast Cat e Yankee Freedom – o con un piccolo idrovolante. I catamarani arrivano sull’isola a metà mattina (quasi simultaneamente, intorno alle 11) e riprendono il mare alle 14,30. I visitatori giornalieri seguono un rigido programma: all’arrivo vengono guidati in una visita al Forte, poi c’è uno spuntino sulle barche, quindi tempo libero per fare snorkeling, fermarsi sulla spiaggia, ripararsi dal sole nel piccolo museo che è dentro il forte o comprare qualcosa nel negozio del museo. Alle 14,00 si ricominciano le operazioni di imbarco. L’idrovolante invece porta tre o quattro persone, le lascia e poi torna a prenderle una o due ore dopo.

Per tutti, non è possibile attraccare alla banchina di Garden Key dopo il tramonto.

Così, nel pomeriggio, diventiamo i padroni dell’isola. Oltre a noi (Cristina, Paolo, Simonetta e io e Luca, Chiara, Monica e Franco) e alle nostre tre tendine c’è solo un’altra tenda, con una coppia che ha già passato una notte su Garden Key.

Le tende sono sistemate tra gli alberi dell’unico boschetto presente sull’isola. Qualche altro albero è dentro il forte, che però alle 17 chiude (anche se solo virtualmente). Dentro il forte ci sono anche l’ufficio e la residenza di alcuni ranger, a cui si può far riferimento nel caso di qualche emergenza.

Di fatto i ranger si vedono poco: un ranger accoglie chi arriva per campeggiare, indica i luoghi in cui si possono sistemare le tende e illustra le poche regole riguardanti il campeggio (non dare cibo agli animali; non toccare e non prelevare alcunché, portar via tutto ciò che si introduce sull’isola, mantenere cibo e spazzatura fuori della portata dei topi che popolano l’isola e che, insieme ai paguri, trovano rifugio tra gli alberi uscendo di notte), un altro fa un giro dell’isola la sera a piedi e un terzo fa un giro dell’isola la mattina.

Il pomeriggio trascorre nuotando intorno all’isola, osservando pesci, conchiglie, anemoni e così via tra le teste di corallo che la circondano. Oltre ai pesci vediamo una tartaruga. Tra i pesci, oltre agli onnipresenti sergeant fish, ai pesci chirurgo, a qualche pesce pagliaccio, a molti pesci angelo, agli hogfish, ai pesci pappagallo e agli snapper e a qualche cernia anche alcuni barracuda, sia piccoli e dall’aspetto quasi inoffensivo, sia grandi e minacciosi, e alcuni grandi “tarpons”.

E’ quasi sera quando si sente il rumore di un grosso motore diesel. E’ una barca da pesca che si avvicina. Su una delle guide c’è una nota (assai improbabile) circa il fatto che i pescatori cubani spesso si avvicinano a Garden Key ed è possibile comprare da loro pesce e aragoste. Quando vedo che la barca attracca alla banchina di ingresso al parco inizio ad avvicinarmi: magari ciò che riferisce la guida è vero. Non è una barca cubana.

E’ una barca per la pesca delle aragoste che viene da Key West. Ancora non sono finite le manovre di ormeggio che un uomo con un cane salta giù: sono in mare da giorni e semplicemente sono venuti a sgranchirsi le gambe. Non tutti scendono a terra. Sbarcano soltanto un giovane pescatore che porta il cane a fare una passeggiata e un secondo pescatore: è coperto da tatuaggi, non soltanto sulle braccia e sul torace, ma anche in faccia.

Un’ancora blu è disegnata sul viso, con le marre che si estendono sulle narici, il fusto che segue la linea del naso, il ceppo sull’arco sopraccigliare. I capelli biondi sono arricciati dal mare, così come la lunga barba un po’ caprina. Gli occhi celesti. Il petto muscoloso è coperto da una peluria riccia e scura, un po’ diversa dai capelli. I capelli biondi, sostiene, li ha ereditati dal padre – irlandese della South Carolina – il corpo peloso, invece, proviene dalla famiglia della madre – italiana di New York.

A bordo sono in cinque, compreso il capitano che non appare. Hanno 300 gabbie per le aragoste, ma ci sono barche che se ne portano dietro più di 1000. Sono fuori da cinque giorni e ancora per altri due rimarranno in mare. Non ci sono turni a bordo. Tutti lavorano o tutti riposano. La notte si fermano in rada presso qualcuna delle molte isolette che spuntano dal mare lungo la barriera corallina. La barca è di vetroresina con un motore che la spinge a 8 nodi. Mentre parliamo le luci della banchina e l’ombra creata dallo scafo attirano alcuni pesci. Me li indica.

Il primo è un grande barracuda, sarà lungo più di 2 metri. Poi arriva anche uno squalo nutrice, anche lui di grosse dimensioni: forse 3 metri forse di più. In realtà, di barracuda e squali nutrice ne abbiamo già visti (anche se un po’ più piccoli). La vera novità arriva un po’ dopo: due cernie giganti. Sono enormi: una sembra lunga più di 3 metri, l’altra è appena più piccola.

Intanto la banchina si è affollata. Bambini ed adulti sono affacciati a guardare i grandi pesci che nuotano tranquilli a poca distanza dalla superficie.

Il pescatore ci dice che la grande cernia peserà qualcosa come 1400 pound e che se si pescasse varrebbe più di 1000 dollari.

Il suo compagno getta in mare un grosso sgombro. La cernia non apre neanche la bocca, si limita ad aspirare la preda. La scena si ripete due o tre volte, poi il pescatore getta qualche pesce più lontano, a portata del barracuda, che intanto guarda minaccioso la cernia (ma non si azzarda ad attaccare).

Lo spettacolo non è finito. Uno dei pescatori tira fuori da un gavone una canna da pesca e la consegna ai bambini. Loro a bordo sono pescatori professionisti, spiega, e non possono pescare nel parco, ma i bambini possono, e infila nel grosso amo un pezzo di sgombro. La cernia non si cura minimamente dell’esca, che invece viene predata dai piccoli pesci che le nuotano intorno. L’esca viene cambiata, i pesci (alcuni sono snapper neanche troppo piccoli) la mangiano ancora, mentre le cernie restano immobili, muovendo soltanto, lentamente le pinne pettorali.

Il pescatore decide di puntare più in alto. Sull’amo arma uno sgombro intero e chiede ai bambini di lasciargli la canna. Di nuovo, come con un soffio, la grande cernia prende il pesce e resta presa. Non se ne preoccupa molto, scende più in profondità, mentre il pescatore lascia scorrere un po’ di filo, poi lo frena e lo blocca. La cernia sente che qualcosa non va. Inizia a far forza. E anche il pescatore. La canna si curva, poi si curva anche la schiena del pescatore. Tutti i muscoli guizzano: un po’ allasca la lenza, un po’ la recupera. Il gioco va avanti per qualche minuto. Il pescatore è bagnato di sudore e rosso per lo sforzo. La cernia si allontana. Intanto il sole inizia a tramontare. E’ il momento di smettere: la lenza viene bloccata. In un attimo si spezza; la canna si raddrizza; i muscoli si rilassano; un sorriso spunta in mezzo alla barba bionda, sotto l’ancora blu.

Il pescatore mette la canna nelle mani dei bambini, a loro a bordo non serve. Sorride ancora, poi salta a bordo. La prua è già libera, in un secondo scioglie il nodo che fissa la gomena alla bitta sul pontile e la barca da pesca rapidamente si allontana. Non si può rimanere attraccati al tramonte.

Ancorano in rada, a meno di di un miglio da terra, tra Garden Key e Loggerhead Key. La luce di stazionamento illumina il mare nella notte e fa sognare i bambini. Vorrebbero essere a bordo e vorrebbero restare sull’isola. Senza elettricità, con poca acqua, ma con il mondo attorno.

2 commenti:

Pergus ha detto...

Hai deciso di farci venire le lacrime agli occhi?

Edo Passarella ha detto...

Grandioso Gianfrà. Il tuo blog è una gustosa scoperta per davvero. Linko al mio immediatamente... poi torno a leggerti.
Grazie per la visita.