lunedì 10 novembre 2008

Isole attorno all'Africa



Di ritorno da Nairobi, dove di mare non ne ho visto, mi è tornato il desiderio di navigare in Africa.

A generare questa specie di “saudade” sono state alcune alcune vecchie fotografie del porto di Mombasa e di Zanzibar, che hanno richiamato alla memoria le barche a vela tra gli ippopotami sul lago Naivasha e i vecchi optimist e vaurien utilizzati come barche da pesca sulle spiaggie di Maputo.

A una saudade generica – che mi ha ricordato anche il libro di Carlo Auriemma e Elisabetta Eordegh, Mar d’Africa (http://www.barcapulita.org/) – è però anche subentrata una curiosità specifica e un sogno.

Questa curiosità e questo sogno hanno al centro le isole distribuite intorno al continente. Non tanto quelle più grandi, come il Madagascar, quanto le decine di piccole isole a volte quasi attaccate al continente che per un lunghissimo periodo - dal medioevo fino alla metà del XIX secolo almeno - il principale luogo d’incontro tra l’Europa e l’Africa, visto che erano il luogo dove gli europei stabilivano le loro stazioni di commercio, relativamente al sicuro dalla malaria, che prima della scoperta del chinino costituiva un ostacolo quasi insormontabile all’occupazione europea della terra ferma.

Ho provato a fare un elenco delle isole che potrebbe essere interessante visitare.

E’ un elenco che potrebbe suggerire molte rotte. Nel raccontarlo non ho tenuto conto dei venti: quasi su tutte le coste considerate ci sono alcuni venti stagionali dominanti. Se si volesse avventurarsi a fare un viaggio così ci si dovrebbe preparare a lunghe pause, ma potrebbe valerne la pena.

Si può iniziare dalle isole Pelagie oppure da La Galite, passando poi per Djerba e le isole Kerkennah nel golfo di Gabes, destinazioni poco esotiche e ormai colonizzate dal turismo di massa, ma che comunque restano una delle porte della costa meridionale del Mediterraneo.

Continuando verso est si potrebbe poi far scalo a Creta, per la suggestione africana che in quest’isola ha lasciato la vecchia storia dei Popoli del mare (una bella lettura su questa vicenda è “Atena Nera” di M.Bernal).

Da lì ci si può dirigere direttamente allo stretto di Suez, per entrare nel Mar Rosso. Io però sarei anche incuriosito da Alessandria e dal delta del Nilo.

Una volta nel Mar Rosso sono possibili scelte diverse: ci si può fermare nelle isole lungo costa egiziana, oppure si può mettere la prua alle Isole Dalhak, di fronte all’Eritrea (ormai sospetto siano diventate una meta turistica, ma io le ricordo ancora nelle fotografie di “Sesto Continente”). In ogni caso la ricca vegetazione mediterranea, anche nelle sue versioni più brulle, non c'è più. Siamo circondati da un cielo dai colori nuovi, sempre alimentati da qualche nuvola, anche se alta, dai colori cangianti del mare e della barriera corallina, dai colori della sabbia e dei cespugli delle isole.

Dopo le Dahak, anche se c’è un’isola proprio di fronte al Bab’ El Mendeb, nel mezzo dello stretto che separa l’Oceano Indiano dal Mar Rosso, è forse meglio per un po’ cambiare continente, e viaggiare più vicini all’Arabia, verso Aden, per poi affrontare una lunga navigazione verso Socotra.

Sarebbe bello, invece, poter seguire la costa africana, far scalo a Djbuti e poi in Somaliland, a Berbera e Bosaso, arrivare fino alla punta del corno e da lì compiere la breve traversata verso Socotra per poi ritornare a scendere lungo la lunga striscia di sabbia della costa somala, con qualche scalo fino ad arrivare alle isole Juba, che chiudono la costa meridionale della Somalia, dove finalmente la terra torna ad assumere i colori della foresta e delle piantagioni. Forse, compiere un percorso costiero – con scali nei porti – potrebbe essere meno difficile di quanto i giornali lasciano immaginare. Magari, assicurando la sicurezza sulla propria rotta con contatti frequenti con le autorità locali e entrando in contatto con le tante comunità somale nel mondo. La Somalia ha continuato infatti, dal 1992, ad essere un luogo di commercio fiorente, con decine di imbarcazioni di ogni genere che attraversano continuamente l’Oceano indiano.

Invece, seguendo i dettami di un buon senso meno fiducioso e maggiormente orientato da quanto si scrive sulla stampa internazionale, volendo continuare a scendere verso il Sud Africa si sarebbe ora costretti a una lunga navigazione in mare aperto, fino alle Isole Amirante o addirittura alle Seichelles, per poi ritornare verso l’Africa e atterrare nell’arcipelago di Lamu, con una storia lunga e che ha lasciato traccie delle culture africane, di quelle arabe e di quelle europee. Non è soltanto la natura a farla da padrona, di qui in poi. C'è anche il paesaggio di città in cui l'architettura araba si mescola con quella portoghese e quella britannica, assume tratti dalle culture africane e mescola i materiali e i colori più diversi: il legno (come nei porticati, nei terrazzi coperti e decorati e negli stipiti scolpiti), gli intonaci bianchi e colorati delle pareti, le colonne di cemento armato dei palazzoni socialisti, i mattoni rossi e le pietre delle fortezze dei vari dominatori temporanei.

Da qui si può riprendere una navigazione fatta di passaggi più brevi, superare il confine e andare a Zanzibar e Pemba - magari fermandosi in una delle piccole isole che circondano le più grandi – e poi, senza dover fare una traversata troppo lunga, raggiungere l’Isola di Mafia.

Un po’ più a Sud, sempre non lontano da terra, l’Ilha de Moçambique, la Ilha di Bazaruto (di fronte a Vilanculos) e poi continuando a mantenere una rotta verso il Sud, di fronte a Maputo, l’isola di Inhaca.

Decidendo ora di lasciare le acque del continente, si può navigare alle Comore e la vicina Mayotte; isole a poca distanza dal Mozambico e a poca dal Madagascar, con una storia anche recente travagliata e con una popolazione caratterizzata da grandi differenze, di lingua e di origine, nonostante la piccola estensione.

Accettando di spingersi un po’ più lontani, magari facendo scalo in Madagascar, sia all’andata, sia al ritorno, si potrebbe andare poi all’Ile de la Reunion.
Converrebbe a questo punto tornare nel golfo dello Zambesi e continuare con una navigazione costiera verso il Capo di Buona Speranza. Sospetto però che, da qui in poi verso Sud, sia necessario un certo coraggio, oltre ad una certa abilità e a un equipaggio adeguato.

Quasi di fronte a Città del Capo, ci si potrebbe fermare nella minuscola Robben island. Di nuovo ci si trova in un'ambiente diverso dagli altri, che richiede di essere interessati ai pinguini, alle prigioni e alle pagine più scure della storia sudafricana (a Robben Island furono tenuti prigionieri Nelson Mandela e molti altri leader nella lotta contro l’aparthaid).

Passando nell’Atlantico, e mettendo in conto di affrontare qualche burrasca, dopo aver rinunciato a una visione quasi lunare come quella che si prospetterebbe lungo costa, è necessario un lungo tragitto al largo della Costa degli Scheletri.

Se proprio si vuole rischiare, si può tentare un atterraggio a Luderitz, in Namibia, ma forse conviene andare fino a Benguela o persino a Luanda, senza cercare isole. Oppure ci si può addentrare nell’Atlantico verso Sant’Elena.

Ancora un po’ di mare aperto. Poi, finalmente, il golfo di Guinea.

Oltre a Sao Tome e Principe, qui ci sono almeno alcune isole in cui fermarsi: Annobón, Bioko, Corisco – quasi all’ingresso del fiume Gabon – e poi Malabo, non lontano da Douala.

Si è ormai alla foce del Niger e la costa continua da questo punto in poi, verso occidente, piena di piccole isolette e foci di fiumi.

Sospetto non sia una zona semplice per viaggiare: si mescolano insieme grandi città, povertà e estrema ricchezza, campi petroliferi, grandi porti, paesi che non riescono a uscire da condizioni di conflitto e così via. Non ci sono notizie di casi di pirateria frequenti verso barche da diporto, ma forse semplicemente perché non c’è un grande passaggio di barche da diporto. Oppure, invece, sono luoghi sicurissimi. Non ci è dato saperlo.

Miglia e miglia di navigazione in cui si deve mantenere l’attenzione e anche i venti potrebbero abbandonarci facilmente, vista la vicinanza dell’Equatore.

Le nostre piccole isole ricominciano un po’ a Nord, vicino a Konakri, nell’isola di Los. Di qui si può navigare fino a Fort James, in Gambia, e a Goréé, di fronte a Dakar. Tutte isole utilizzate come magazzino per tenere gli schiavi destinati all’esportazione in America.

Seguendo rotte antiche si torna al largo, verso l’arcipelago di Capo Verde, anche lui con una storia legata al traffico degli schiavi, ma con una popolazione e una lusofonia che proprio in questa storia hanno fondato una grande originalità.

Ormai il periplo è quasi finito, ma sono possibili ancora due o tre scali prima dello stretto di Gibilterra: le Canarie, le Azzorre e le isole di Madeira.

4 commenti:

Pergus ha detto...

Leggo con ritardo questo interessantissimo post. In effetti ne tempo ho modificato i miei interessi proprio in funzione dell'analisi di alcuni itinerari alternativi alle rotte principali. Il periplo dell'Africa è sicuramente affascinante ma difficilmente effettuabile per una serie di motivi anche tecnici che sarebbe lungo analizzare. In Atlantico, però, Azzorre, Canarie, Madeira e Capo Verde sono estremamente più interessante dell'atrraversata diretta verso i Caraibi. Arrivati poi a Capo verde mi viene volgia di andare verso SW e atterrare in Brasile dovem, lungo la cosa a risalire ci sono molte isole e qualche delta come il Rio delle Amazzoni che presentano grandissimo interesse. Dopo il Mar Rosso rientrerò in Mediterraneo per nadare verso E fino a Istanbul ma poi, dopo essere tornato in Italia non è escluso che siano proprio le isole atlantiche la preossima meta.

Anonimo ha detto...

Ottimo itinerario! C'è ancora qualche altra isoletta qua e là, ma le più importanti ci sono.
E avvertici se un giorno salperai per quelle rotte...
Daniele

Andrea Messersì ha detto...

se vuoi pubblicare qualcosa sulla STRAGE DI DELFINI te ne sarei grato!
copia pure dal mio blog se lo preferisci …..
GRAZIE!
ciao
skipper
di http://www.navigamus.blogspot.com

Anonimo ha detto...

Thanks alot for the great post
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